
E' scomparso il presidente dell'associazione e raffinato tessitore di trame musicali
Ci sono pezzi che non vorresti mai scrivere. Alcuni riguardano concerti noiosi, il più delle volte sciorinati non da giovani apprendisti del palcoscenico ma da sedicenti artisti che, vai a capire come, hanno nella manica l’asso truccato di impresari e critici compiacenti. Ma i pezzi più difficili hanno a che fare con i cerchi da chiudere, le storie di chi se ne va, da suggellare in un giro di parole, in un omaggio sì commosso ma pur sempre vano a fermare il tempo e ad arrestare con frasi smozzicate il corso delle cose. Scrivere della scomparsa di Paolo Motta è qualcosa di surreale e di impossibile insieme. Volatilizzato nel giro di pochi giorni, divorato dall’alone di silenzio che è la firma di questo mostro beffardo e senza volto, giunto chissà quando, chissà come, a ricordarci che non esistono luoghi sicuri. Che niente è lontano. Paolo Motta è il terzo Presidente degli Amici della Musica di Lodi che accompagniamo per l’ultima volta, con una carezza di inchiostro; lui, dopo Libero Sfondrini e Francesco Grisi, indimenticati timonieri - così diversi, così intimamente simili nella gentilezza e nella sensibilità d’animo – di un’istituzione che della città rappresenta uno storico e sempre più fragile baluardo. Ognuno di loro ci manca immensamente. Di quella generazione che si sta sempre più assottigliando, coraggiosa nel creare dal nulla opportunità ed occasioni di musica e di bellezza, Motta rappresentava la punta più avanzata. A colpirmi, sin dal nostro primo incontro – era il 2003, in occasione del mio primo concerto da inviata del Cittadino. Sul palco era l’orchestra di Bacau diretta da Ovidiu Balan – era stata la sua autentica passione per la musica tutta. Una passione che, nonostante non avesse nel suo percorso una formazione strettamente musicale, coltivava con una visceralità spericolata, macinando centinaia di chilometri per il piacere di ascoltare un concerto. In Italia, ma anche all’estero. Meta privilegiata era la “sua” Piticchio, borgo marchigiano nel quale trascorreva, con la nostra più cordiale invidia, lunghi periodi insieme alla moglie Grazia; ma nessuno provasse a chiamarla “vacanza”. Lì, come a Lodi, Paolo ruminava progetti, idee, iniziative. Lì, come a Lodi, insieme all’inseparabile Paolo Marcarini, era riuscito nell’impresa di portare in cartellone nomi di prima grandezza del concertismo internazionale. Magaloff e Ciccolini, Accardo ed il Quartetto Kronos, Elisso Virsaladze e Natalia Gutman, solo per citarne alcuni. Imprese, sì, perché in realtà così piccole ed economicamente deboli il cachet abituale di artisti di quel calibro è qualcosa di impensabile. Eppure, non solo tanti sono passati dalla città, ma altrettanti ci sono ritornati più volte, in nome di un’amicizia che solo la passione sincera, il caparbio lavoro di retrobottega che della tessitura di un concerto è forse la fase più delicata, sanno creare. Ecco; Motta era un infaticabile tessitore di storie di musica. Preziosa anche la sua ultima collaborazione con l’Accademia Gaffurio: tre anniversari in musica straordinariamente densi, realizzati anche grazie al saldo contatto con le Serate Musicali di Milano. Eccola, la firma dell’appassionato. Nel senso più ampio e più stretto. Paolo parlava dei suoi amici musicisti come di medaglie puntate al petto, con l’orgoglio di una vetta conquistata dopo una salita affrontata con le sole proprie gambe. E amava circondarsi di musica anche quando le luci del teatro si spegnevano. Per questo negli anni aveva fatto della sua casa un arsenale: migliaia di ascolti, tra vinili e CD. Quando lo intervistammo in occasione della sua elezione a Presidente degli Amici della Musica, ci aveva detto, quasi sottovoce, che era sicuro di possedere la migliore discoteca della città, per numero e per qualità di pezzi. Era così, Paolo. Sempre un passo avanti; proiettato verso il giorno dopo per capire cosa fare, dove andare. Gli piacevano le scommesse, e non temeva i salti nel vuoto. Mesi fa, era stato lui, con la voce rotta dall’emozione, a comunicarci la scomparsa di Gaetano Cornalba, altra compianta presenza della prima ora nell’associazione. Questa volta, ad andarsene è stato lui. Giocandoci l’ultimo scherzo. Sparire di colpo, senza darci il tempo di salutarlo. Lasciandoci a bocca aperta. Incapaci di crederci e di piangere: come bambini davanti al gesto oscuro del prestigiatore, non ci rassegniamo a credere che ciò che abbiamo davanti sia la realtà.
Elide Bergamaschi