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Milano: Con Riccardo Chailly alle radici di Aida

Il capolavoro verdiano in forma di concerto al Teatro alla Scala con un cast prestigioso formato da Saioa Hernández, Francesco Meli, Anita Rachvelishvili e Amartuvshin Enkhbat.

Dal 6 al 19 ottobre Riccardo Chailly torna all’opera con Aida di Giuseppe Verdi  in forma di concerto. Sul palcoscenico un cast importante: Saioa Hernández ha debuttato alla Scala nei panni di Odabella in Attila con Chailly il 7 dicembre 2018 ottenendo un successo che l’ha proiettata nei maggiori teatri internazionali;  anche Anita Rachvelishvili dopo gli studi in Accademia ha debuttato alla Scala un 7 dicembre: era il 2009 come Carmen con Daniel Barenboim sul podio, e l’artista ormai richiesta in tutto il mondo è tornata tra l’altro come Amneris con Zubin Mehta nel 2016; il tenore verdiano per eccellenza Francesco Meli aggiunge Radamès a una galleria di personaggi che alla Scala include già Cassio, Jacopo Foscari, Alfredo Germont, Carlo VII in Giovanna d’Arco, Don Carlo ed Ernani oltre al Requiem cantato nuovamente poche settimane fa con Chailly. Ma al di fuori del repertorio verdiano occorre ricordare il suo Cavaradossi in Tosca in occasione dell’ultima inaugurazione di stagione. Infine il baritono Amartuvshin Enkhbat, una delle voci emergenti di questi anni, debutta al Piermarini nei panni del re Amonasro.

La nuova edizione di Aida diretta dal Maestro Chailly offre la possibilità di conoscere per la prima volta una versione del terzo atto scoperta pochi mesi fa che getta nuova luce sulla genesi dell’opera. 
Dalle carte del lascito verdiano di Villa Sant’Agata, consultabili dalla primavera 2019 presso l’Archivio di Stato di Parma, è infatti riemersa grazie al musicologo Anselm Gerhard, docente dell’Università di Berna, la versione originaria dell’inizio del terzo atto di Aida - un centinaio di battute, per circa otto minuti di musica - ancora priva dell’originale attacco strumentale, dell’aria solistica di Aida “O cieli azzurri”, ma soprattutto con un coro a quattro voci ‘alla Palestrina’ di cui Verdi parla in alcune lettere e di cui s’era persa traccia. In origine Verdi aveva voluto differenziare il linguaggio arcaico e solenne dei sacerdoti egizi da quello dei protagonisti assegnandogli una scrittura neo-palestriniana, a cappella e a quattro voci. Dopo la cancellazione della prima assoluta prevista in Egitto nel gennaio 1871, dovuta all’assedio di Parigi, e al conseguente mancato invio al Cairo delle scene che erano state commissionate all’Opéra, Verdi riprendendo in mano il lavoro nell’agosto 1871 giudicò che la soluzione ‘alla Palestrina’ non fosse abbastanza caratteristica e la sostituì con il coro unisono esotizzante che conosciamo. Il ritrovamento dei fogli che Verdi tolse dalla partitura rivela ora due cose: la prima è che questo esordio, espunto e messo da parte, era già completato e addirittura in bella copia; la seconda, che si tratta della stessa musica usata per il «Te decet Hymnus» del Requiem composto nel 1874 alla memoria di Alessandro Manzoni.