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Turandot inaugura la Stagione Lirica 2020 del Teatro Regio di Parma

L’opera di Giacomo Puccini torna al Teatro Regio di Parma dopo 13  anni nell’allestimento del Teatro Comunale di Modena con la regia di Giuseppe Frigeni. Sul podio Valerio Galli.

Turandot di Giacomo Puccini inaugura la Stagione Lirica 2020 del Teatro Regio di Parma venerdì 10 gennaio 2020 alle ore 20.00 (repliche 11, 12, 17, 18, 19 gennaio), nell’allestimento del Teatro Comunale di Modena creato da Giuseppe Frigeni - che ne firma regia, coreografia, scene e luci - con i costumi di Amélie Haas.
Sul podio Valerio Galli alla testa della Filarmonica dell’Opera Italiana Bruno Bartoletti, del Coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani e del Coro di voci bianche Ars Canto Giuseppe Verdi preparato da Eugenio Maria De Giacomi.

Protagonisti: Rebeka Lokar (Turandot), Carlo Ventre (Calaf), Vittoria Yeo (Liù), Paolo Antognetti (Altoum), Giacomo Prestia (Timur), Fabio Previati (Ping), Roberto Covatta (Pang), Matteo Mezzaro (Pong) e Benjamin Cho (Un mandarino). Nelle recite del 11 e 18 gennaio Turandot sarà interpretata da France Dariz, Samuele Simoncini sarà Calaf, Marta Torbidoni Liù, George Andguladze Timur. L’opera è realizzata in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Modena e Fondazione I Teatri di Piacenza.

“Turandot mi tormenta - scrisse Giacomo Puccini a Giuseppe Adami, che assieme a Renato Simoni curò il libretto tratto dalla fiaba teatrale di Carlo Gozzi. Ci penso sempre e penso che forse siamo su una falsa strada per il secondo atto. Penso che il grande nocciolo sia il duetto. E questo duetto così com’è non mi pare sia quello che ci vuole. Dunque vorrei proporre un provvedimento. Nel duetto penso che si può arrivare ad un pathos grande. E per giungere a questo io dico che Calaf deve baciare Turandot e mostrare il suo grande amore alla fredda donna. Dopo baciata con un bacio che dura qualche lungo secondo, “ora che mi importa” deve dire, muoio anche, e gli dice il suo nome sulla bocca”.

Ma il duetto finale restò irrisolto, perché Puccini morì prima di averlo ultimato e sarà Franco Alfano, su incarico dell’editore Ricordi, a comporre il quadro conclusivo dell’opera, sulla base degli appunti lasciati dal compositore. Sono note le parole pronunciate da Arturo Toscanini, alla Scala il 26 aprile 1926 la sera della prima esecuzione assoluta: «Qui finisce l’opera lasciata incompiuta da Puccini per la sua morte».

“Turandot non è una storia d’amore - scrive il regista Giuseppe Frigeni - ma lo scacco di un’illusione amorosa nel ribaltamento dei giochi di potere, delle leggi di un potere arcaico, attraversato dal cinismo maschilista, l’ambizione e l’arroganza di Calaf. Turandot non è la carnefice leggendaria, ma una donna ferita nel proprio orgoglio, vittima di una violenza maschile atavica (nel ricordo della sua antenata violentata), che si difende dagli attacchi maschili utilizzando le loro proprie leggi contro di loro. Quando alla fine ella si concederà, ammaliata da Calaf, sarà sconfitta dalla sua ambizione di potere. Se la principessa incarna l’amore difensivo, Liù rappresenta quello sacrificale: è l’innocenza, l’umiltà, i gesti discreti. Sarà proprio lei a suggerire a Calaf le risposte che lo libereranno dalla minaccia di morte. Liù è la figura centrale, il cui suicidio è un atto d’amore di tale forza che farà calare un silenzio di morte. Una cesura drammaturgica che è anche un omaggio a Toscanini, che concluse la prima dell’opera nel punto in cui Puccini interruppe la composizione. Silenzio che non è voragine, ma densità di ogni suono possibile, come la luce bianca che contiene ogni colore. Una sospensione che fa emergere l’emozione pura, non mediata, e che acuisce ancor più la percezione della bellezza sonora appena ascoltata. Non sono forse questi i momenti privilegiati del poi, dove risuonano le eco delle emozioni vissute, le vere tracce indelebili di un’opera?”