La Fondazione Arena di Verona ha allestito con successo la prima rappresentazione italiana della celebre opera di John Adams
Per la stagione lirica invernale 2007/08
Messo in scena per la prima volta nel 1987 (quando gran parte dei personaggi qui rappresentati -si disse- avrebbero potuto tranquillamente assistervi seduti in platea) questo titolo viene spesso un po’ semplicisticamente fatto rientrare nel filone della musica minimalista, definizione tutto sommato un po’ riduttiva. Nonostante infatti gli elementi peculiari del minimalismo siano ben riconoscibili (ripetizioni, armonie consonanti, impulsi ritmici regolari) lo stile di Adams è più improntato verso una sorta di eclettismo opportunamente distante dal minimalismo più radicale, riscontrabile ad esempio in certi lavori di Glass, dell’ultimo Nyman o del sempre più estremo Steve Reich. All’interno dello spartito si possono udire echi di varie correnti musicali novecentesche, compreso qualche passaggio di stampo wagneriano, ma è con la tradizione musicale americana, quella dei Gershwin e dei Bernstein per intenderci, a cui Adams sembra dover pagare il debito maggiore. Ciò non toglie che il risultato sia quello di un’opera indubbiamente riuscita e musicalmente accattivante, complice anche l’eccellente libretto di Alice Goodman. Viene pertanto da chiedersi come mai si sia dovuto aspettare così tanto tempo prima che tale lavoro, acclamato e riconosciuto in tutto il mondo, riuscisse ad approdare anche nel nostro paese. Doppio merito quindi alla Fondazione Arena per avere avuto il coraggio di realizzare una tale proposta e per averlo fatto in maniera egregia.
La concertazione di questa nuova produzione era affidata all’esperto Andreas Mitisek, che ha diretto con mano sicura la versatile orchestra della Fondazione Arena, mostrando una grande attenzione verso le componenti ritmiche e l’articolato gioco contrappuntistico della partitura.
Rimarchevole anche la prova dei cantanti, peraltro supportati da un sistema di amplificazione. Da segnalare il Nixon di Jeremy Huw Williams, il Mao di Daniel Noran, il Kissinger di Rod Nelman, la moglie di Mao di Yu So-Yug e, un gradino sopra tutti, l’eccellente Pat Nixon di Suzan Hanson.
Decisamente efficace anche l’aspetto visivo, che si è avvalso delle scenografie disegnate da William Holzbauer. Un progetto tutto sommato semplice ed essenziale ma che, impiegato con grande abilità dal regista Peter Pawlik, alternava momenti spettacolari e coreografici a scene più intimiste e raccolte, riuscendo a non far calare mai la tensione, nonostante in più passaggi la drammaturgia dovesse pagare il prezzo alla staticità ed alla ripetitività della scrittura musicale.
Positiva e convinta l’accoglienza del pubblico, che ha dimostrato come anche una proposta di teatro contemporaneo, se realizzata nel modo giusto, possa rivelarsi una scelta vincente.
Davide Cornacchione 2 febbraio 2008