Recensioni - Cultura e musica

100% Germania per la Staatskapelle Dresden

Tedesco sia negli autori che nello stile esecutivo il programma dell’orchestra che ha inaugurato il Settembre dell’Accademia Filarmonica

Orchestra tra le più blasonate a livello internazionale, la Staatskapelle Dresden vanta anche un  primato di   anzianità rispetto ad altre illustri compagini, risalendo la sua fondazione al 1548. Nel corso della sua storia questa formazione ha rivestito un ruolo importantissimo nell’ambito della musica tedesca, legando il proprio nome a quello di grandi compositori, tra i quali spiccano Richard Wagner e Richard Strauss, che proprio all’Opera di Dresda, di cui la Staatskapelle è orchestra residente, tenne a battesimo ben nove titoli del suo repertorio operistico.

Ed è  infatti  il poema sinfonico “Don Juan” di Strauss che il direttore musicale Fabio Luisi ha scelto per aprire il programma del concerto che al Teatro Filarmonico ha segnato il debutto veronese dell’orchestra e l’inaugurazione del Settembre dell’Accademia 2008.
È uno Don Juan estremamente dinamico quello di Luisi, teso, dai tempi serrati, che però mostra la corda perdendo di incisività nella parte centrale, in cui il gioco contrappuntistico si fa più elaborato. Il suono è brillante  ma privo di quella scintilla luciferina che al contrario è insita nella natura del personaggio.
Una sensazione di eccessivo rigore è quella che si è respirata anche nel secondo brano in programma, ovvero il quarto Concerto per pianoforte di Ludwig Van Beethoven che presentava Rudolf Buchbinder  alla tastiera. L’orchestra non ha dato quasi mai l’impressione di voler intrecciare un rapporto dialettico con il solista, ma di volersi quasi ritagliare un ruolo di accompagnamento, rinunciando a dare un’impronta personale all’esecuzione.
Dal canto suo Buchbinder ha optato per un tocco estremamente morbido, dalle sonorità romantiche, ma spesso molto veloce nei tempi. Quel meraviglioso esempio di poesia, nato dalla fusione di un recitativo ed una cadenza, che è il secondo movimento, è scivolato via in maniera quasi sbrigativa.
Rigorosamente tedesco, seppur come Beethoven trapiantato a Vienna, anche il terzo autore in programma, ovvero l’amburghese Johannes Brahms, di cui abbiamo ascoltato la Quarta Sinfonia.
L’organico scelto da Luisi per affrontarla presentava dimensioni imponenti e questo si è tradotto in un suono energico e massiccio.
Nel primo movimento ritornava a volte l’impressione già avuta nel Don Juan, ovvero una grande visione d’insieme, perfettamente equilibrata ma un po’ squadrata e trattenuta nei passaggi più elaborati. Sensazione che è scomparsa nei due tempi centrali in cui alla robustezza del suono si accompagnava una maggiore cantabilità ed un più disteso fluire della musica che, senza soluzione di continuità, è scaturita nella passacaglia finale, la cui conclusione è stata accolta da calorosi applausi.
Sia Buchbinder che Luisi hanno salutato il Filarmonico, esaurito in ogni ordine di posti, senza concedere alcun bis.

Davide Cornacchione 9 settembre 2008