Recensioni - Cultura e musica

A Parma Pletnëv e i “suoi” preludi

Al Teatro Regio il pianista russo in una personalissima esecuzione dei preludi di Scriabin e Chopin

È un Mikhail Pletnëv introspettivo, estremamente misurato quello che lunedì 18 marzo si è esibito a Parma per la stagione concertistica del Teatro Regio, eseguendo i preludi 24 Preludi Op.11 di Aleksandr Scriabin e i 24 Preludi Op.28 di Fryderyk Chopin. Entrambe le esecuzioni sono state infatti caratterizzate da un suono morbido, colloquiale, come se il celebre pianista avesse rivolto un invito al pubblico ad entrare nel suo modo di sentire, esulando dall’idea di concerto come “esibizione”.

Fin dall’attacco dei Preludi di Scriabin, che hanno costituito la prima parte, hanno colpito l’estrema chiarezza dell’esecuzione e l’assenza di soluzione di continuità tra un brano e l’altro, grazie a impalpabili legami fatti di risonanze e note tenute che hanno dato vita ad una sorta di unicum compositivo, in cui tutti i preludi si fondevano tra di loro, aggirando quell’idea di frammentarietà e di insieme di singole unicità che spesso caratterizza questi cicli. Un’interpretazione molto personale, a tratti estrema, che però, anche se risuonava più pacata e meno ricca di contrasti rispetto ad esecuzioni più classiche, non ha dato mai la sensazione di essere rinunciataria o priva di intensità, anzi al contrario sembrava scavare ancora più a fondo nello spartito, andando oltre e cogliendone l’essenza.

Un approccio illuminante ed estremamente coinvolgente che se nella prima parte ha conquistato il teatro rivelando uno Scriabin interiorizzato, è parso decisamente più estremo applicato ai 24 Preludi di Chopin. In questo caso la rinuncia ad ogni estroversione se da una parte ha “umanizzato” e reso meno esibizionistica l’esecuzione, dall’altro ha richiesto al pubblico una diversa disposizione per poter entrare in sintonia con una lettura personalissima e abbastanza fuori dagli schemi. Lo Chopin di Pletnëv sgorga in modo naturale, quasi spontaneo, senza enfasi, trasferito in una dimensione intima. Una scelta che in qualche occasione, soprattutto nei brani più dinamici, può aver suscitato qualche perplessità, ma che si basa su un’estrema coerenza stilistica e su una tecnica formidabile, che riesce a far apparire semplice anche l’impervio.

Entusiasta al termine la risposta del teatro, che purtroppo contava molti posti vuoti, ricambiata da tre bis tra cui lo studio n.6 di Moszkowski ormai diventato una sorta di firma di Pletnëv.