Recensioni - Cultura e musica

A Parma non si infiamma la battaglia

Non convince sino in fondo la Battaglia di Legnano proposta al Festival Verdi

Volendo fare un’analisi macroscopica dell’opera si può notare come la prima parte suoni ancora abbastanza spigolosa mentre nella seconda l’autore dimostri una nuova consapevolezza  nell’affrontare il materiale sonoro.
Nei primi due atti infatti si percepisce maggiormente la frizione tra i due aspetti dell’opera, ovvero quello patriottico, che nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto essere il tema portante, e la vicenda amorosa che vede protagonista il classico triangolo tenore-soprano-baritono. L’insieme risulta non perfettamente amalgamato, qua e là si ha ancora la sensazione di una musica non scevra da aspetti retorici e, pur essendoci alcuni passaggi felici, si percepisce la mancanza di un colore che unisca i vari momenti della vicenda. Colore che, al contrario, caratterizza il terzo ed il quarto atto, all’ascolto dei quali non si ha più la sensazione di brani giustapposti bensì di una raggiunta uniformità che riesce a far convivere in armonia sia l’aspetto della rivolta che quello dell’amore e della fedeltà.
È quindi probabile che questa convivenza di momenti alti e momenti più modesti e la pressoché totale mancanza di arie famose, o quantomeno orecchiabili, abbia fatto sì che la Battaglia di Legnano goda di particolare fortuna sui nostri palcoscenici e che questo nuovo allestimento del Festival Verdi di Parma abbia costituito una proposta di sicuro interesse proprio in virtù della sua inusualità.
Le attuali vicende che hanno portato il Teatro Regio ad una situazione di instabilità a livello gestionale hanno indotto la direzione ad optare per un cast di giovani che si è ben disimpegnato, senza però raggiungere particolari vette di eccellenza.
Sicuramente il miglior risultato è stato conseguito dalla giovane Aurelia Florian impegnata nel tutt’altro che facile ruolo di Lidia. La parte richiede infatti sia un’ottima padronanza delle agilità, sia un registro drammatico che sappia affrontare la complessa emotività del personaggio. La soprano rumena ha mostrato una buona padronanza dello strumento vocale che le ha consentito di avvalersi di una tavolozza ricca di accenti e sfumature, nonostante la voce tendesse ad assottigliarsi nel registro acuto. Le sue due scene nel terzo atto hanno comunque costituito il momento migliore della rappresentazione.
Interessante anche la prestazione di Gezim Myshketa quale Rolando. Il baritono albanese ha sfoggiato un timbro solido che gli ha consentito di risolvere sia i passaggi eroici che quelli più intimisti.
Meno convincente  l’Arrigo di Alejandro Roy: tenore dal registro acuto ben a fuoco ma carente nel fraseggio. Il suo canto è tutto giocato sul forte e sul mezzo-forte ed il risultato è un’interpretazione abbastanza monocorde cui non basta una manciata di acuti ben piazzati per potersi pienamente riscattare.
Non molto incisivo William Corrò nell’ingrato ruolo di Fedrrico Barbarossa, mentre funzionali sono stati Valeriu Caradja  (Marcovaldo),  Erika Beretti (ancella di Lida),  Emanuele Cordaro (Secondo Console e Podestà) e Cosimo Vassallo (araldo)
Il Maestro Boris Brott, alla testa della Filarmonica Arturo Toscanini, ha mostrato di prediligere i passaggi più lirici, ottenendo peraltro risultati interessanti nel terzo atto, mentre per i momenti più squisitamente risorgimentali ha scelto dinamiche e sonorità che difficilmente avrebbero acceso anche il più fervente dei patrioti.
Incisiva come sempre la prova del Coro dl Teatro Regio magistralmente diretto da Martino Faggiani, per l’occasione presente in scena all’inizio del quarto atto.
L’aspetto visivo era stato affidato alle mani esperte di Pier Luigi Pizzi che ha creato una severa struttura di pilastri e pareti con mattoni a vista che, se da una parte - grazie anche alle efficaci  luci di Vincenzo Raponi - dava vita ad alcuni momenti particolarmente suggestivi, dall’altra avrebbe potuto andare bene per qualsiasi altro titolo, dai Lombardi a Suor Angelica o a  Macbeth.
Tutto sommato povera di spunti anche la regia, riconducibile al più consolidato e rassicurante dei repertori.
Tutto questo non ha comunque impedito che al termine della rappresentazione il pubblico di un  Teatro Regio pieno ma non esaurito rispondesse con molto calore.

Davide Cornacchione 20/10/2012

 


La Battaglia di Legnano si può considerare come opera di passaggio all’interno della produzione verdiana. Per molti aspetti ancora legata al ciclo  degli “anni di galera”,  lascia però già intravvedere la svolta che porterà ai capolavori della piena maturità: solo due anni e Luisa Miller la separano infatti da Rigoletto.
All’interno della partitura convivono quindi un Verdi più convenzionale, ancora legato a forme  consolidate anche se, per certi versi, in via di superamento, ed un Verdi più maturo, che sta progredendo nella ricerca di uno stile personale finalizzato a costruire affreschi musicali più complessi ed articolati.