Il concerto, dal forte sapore simbolico, eseguito nella splendida cornice di Santa Maria in Aracoeli, ha integrato in unica drammaturgia musicale il celebre Stabat Mater con musiche di Giacinto Scelsi. Un potente messaggio contro la guerra ed una riflessione sul dolore e sulla perdita
All’arrivo sul colle del Campidoglio sbagliamo l’ingresso alla chiesa di santa Maria in Aracoeli ed imboccando per errore l’entrata degli artisti ci imbattiamo in un contingente di soldati seduti sui gradini, in relax: indossano tute mimetiche, zaini, armi e sembrano aver concluso una giornata di lavoro tra i marines. Un po’ confusi ce ne andiamo e rientriamo dall’ingresso del pubblico attendendo l’inizio del concerto.
Entrando nella chiesa, l’atmosfera che ci accoglie è realmente spettrale: un paio di faretti alogeni inondano la navata centrale con una flebile luce fredda. Le meravigliose decorazioni dorate del soffitto e i numerosi lampadari appesi un po’ ovunque sotto gli archi a tutto sesto assumono un aspetto davvero funereo e vagamente inquietante… sembra di entrare in un gigantesco sepolcro. Mentre prendiamo posto pensiamo ad un semplice problema elettrico. Al centro della navata un catafalco ligneo lungo e stretto occupa la maggior parte dello spazio, mentre le sedie destinate al pubblico sono situate sul lato sinistro della navata, per chi guarda verso l’altare. Al centro del palco, tre altissime aste di un materiale tecnico indefinibile trafiggono verticalmente l’aria, collegate a tre macchinari misteriosi.
Ecco quindi che uno squadrone di soldati in tuta mimetica sale su uno degli estremi del palco, quello più vicino all’ingresso della chiesa. Portano in mano strumenti musicali dipinti in stile animalier, come se fossero armi. Si dispongono lungo il palco e si bloccano… in attesa. Dopo qualche secondo procedono in direzione dell’altare e spariscono scendendo dal palco, nella zona non visibile al pubblico.
Dopo qualche istante inizia la musica con l’esecuzione dei Quattro pezzi per orchestra di Giacinto Scelsi (Pitelli, 8 gennaio 1905 – Roma, 8 agosto 1988). Questo compositore dei primi del 900 è noto soprattutto per i suoi studi sulla microtonalità, cioè lo studio degli intervalli minori di un semitono. Queste sonorità inusuali portano i suoi studi in aree mai esplorate prima e rivelano anche le sue affinità con la musica dodecafonica e seriale del 900, in particolare con Alban Berg e Aleksandr Skrjabin, alcuni tra i suoi più illustri rappresentanti.
Questa composizione per orchestra da camera del 1959 è emblematica in questo senso. Si tratta di quattro pezzi ciascuno dei quali è costituito da uno studio su una singola nota, ed è come se disegnassero idealmente un orizzonte piatto, che, nell’idea di Romeo Castellucci (regia, scene, costumi e luci) e Michele Mariotti (direzione) prepara l’orecchio all’impatto sonoro con lo Stabat Mater, aumentando la profondità percettiva del suono.
I pezzi si susseguono ciascuno sulla propria nota e si arricchiscono di effetti musicali particolari grazie all’uso dei microtoni, anticipando effetti sonori che saranno popolari almeno quarant’anni dopo, ad esempio nelle musiche destinate alle colonne sonore cinematografiche. Le aste materiche invece, illuminate e messe in movimento dai motori alla base, sembrano come dei fasci di luce di una contraerea, rafforzando il simbolismo militare della guerra presentato all’inizio del concerto.
Al termine dei quattro pezzi, alcuni attori entrano in scena e in due distinti momenti si radunano in una figura molto compatta, mimando il parto di due figure di donna vestite di scuro che ne fuoriescono. Queste figure si allontanano percorrendo un tratto del lungo palco, mettendosi in posizione antitetica rispetto agli altri attori.
E’ dunque il momento dello Stabat Mater di Pergolesi (Jesi, 4 gennaio 1710 – Pozzuoli, 16 marzo 1736) che inonda la chiesa. Lo Stabat Mater, una sequenza attribuita a Jacopone da Todi nel XIII secolo è stata musicata da grandi compositori tra cui Palestrina, Vivaldi, Scarlatti, Rossini, Poulenc e Dvořák. La leggenda vuole che Pergolesi ne abbia terminato la composizione il giorno stesso della propria morte, avvenuta a soli 26 anni per le complicanze della tubercolosi, che per altro sterminò in tempi diversi tutta la sua famiglia.
Bellissima la prova delle due cantanti, il Soprano Emőke Baráth ed il mezzosoprano Sara Mingardo. Incarnano le due testimoni del dramma di Maria sotto la croce del figlio defunto. Due voci perfettamente bilanciate e coordinate con un timbro e una tecnica di canto perfetti. Anche l’Orchestra dell’Opera di Roma ha dato come sempre prova di perfezione e sicurezza esecutiva. I momenti più memorabili sono stati sicuramente lo Stabat Mater Dolorosa, il Quae moerebat et dolebat, il Quis est homo, qui non fleret, il Sancta Mater, istud agas ed il finale con il Quando corpus morietur, e Amen. La bellezza della musica è accompagnata da una incredibile drammaturgia, a cura di Christian Longchamp e del coordinatore dei movimenti Aurélien Dougé, che coinvolge attori, bambini, oggetti scenici che rappresentano porzioni di statue raffiguranti il Cristo sulla croce. Immagini forti e simboliche, come le tre aste materiche che, staccate dai loro alloggiamenti motorizzati, vengono impugnate dagli attori e usate per trafiggere il soprano. Oppure i cambi di costume delle due cantanti: uno nero, un bianco ed uno rosso. Impressionante una scena con i bambini che, stesi supini, mostrano al pubblico solo i piedi… come cadaveri in un obitorio.
Dopo lo Stabat Mater è la volta di un’altra composizione di Scelsi, Three Latin Prayers (1970) per soprano o coro unisono a cappella, che chiude la sequenza drammatica. Come per i Quattro pezzi per orchestra, anche questa composizione esplora luoghi musicali insoliti. Il coro unisono viene concepito non come un insieme armonico di voci diverse ma come un’espressione omofonica, quasi impercettibile: voci flebili, che vanno a spegnersi. L'alleluja finale è stato eseguito dal solo soprano per rafforzare l’idea del climax discendente. Questa composizione chiude idealmente la drammaturgia usando la voce. Dalle sole note strumentali dell’apertura, all’orchestra e voce dello Stabat Mater, alla sola voce che sublima il percorso. Questa ultima parte del concerto viene eseguita secondo la tecnica del coro a cappella, per cui gli esecutori restano invisibili al pubblico che percepisce la musica come se provenisse dal nulla.
Al termine non c’è stato applauso finale. Dopo un breve cenno, il pubblico si è alzato e siamo usciti. Gli esecutori non si sono presentati sul palco.
Insomma un concerto decisamente fuori dall’ordinario, che ha saputo smuovere corde molto profonde. Un grido silenzioso contro la guerra ed il dramma del dolore e del lutto per la perdita di un figlio che inevitabilmente si legano in un binomio molto attuale.
Uno spettacolo davvero particolare che consigliamo di non perdere.