
Si chiude la 22esima edizione del Festival Giovanni Paisiello
Da Il Finto spettro, titolo originario dell’opera, a Lo Spettro errante: il pasticcio è confezionato e ben rappresentato al Teatro Fusco di Taranto in prima assoluta nei tempi moderni a conclusione della ventiduesima edizione del Festival Giovanni Paisiello 2024.
Ci riferiamo all’“opera” che recupera le più belle arie e i duetti più vezzosi de La Frascatana (1774) e Le due contesse (1776), opere buffe paisielliane tra le più diffuse nel Settecento, da Venezia a Roma e in tutta Europa fino a Mannheim, alla cui Corte Elettorale Palatina vengono riconfezionate nella veste di “pasticcio”, lì rappresentato il 26 novembre 1776 su libretto di Mattia Verazi. L’opera è realizzata per soddisfare la passione dell’allora illuminato regnante, Karl Theodor, per la musica italiana, nel rispetto di una prassi compositiva già ampiamente diffusa tra gli impresari nel tardo sei-settecento, i quali per incamerare lauti guadagni richiedevano ai compositori più in voga opere basate su “arie favorite” dal pubblico ad altre farcite con pezzi nuovi, fino a libretti nuovi musicati con “arie vecchie”. E Giovanni Paisiello, tra i compositori più ricercati dalle Corti europee settecentesche, non si esime dall’assecondare tale pratica, così come non vi si asterrà, per convenienza e prestigio, il suo maggiore rivale, autore del nuovo e più brioso “Barbiere di Siviglia”, Gioachino Rossini, il quale nell’Ottocento, quando oramai l’opera “artigianale” composta da pezzi “chiusi” e scene ricomponibili in patchwork musicali con una semplice operazione di “taglio e cucito” aveva ceduto il passo all’opera “d’arte” avente un suo statuto estetico, si perita di confezionare opere-centone come Eduardo e Cristina e acconsente, a secolo inoltrato, all’imbastitura di “pasticci” come Ivanhoé e RobertBruce da parte, rispettivamente, di Antonio Pacini e Louis Niedermeyer.
Nella cucitura de Il Finto Spettro si cimenta il giovane Giovanni Battista Verazi, il quale adatta convenevolmente la musica alle parole scrivendo di nuovo i soli recitativi. Per Lo Spettro errante si attende l’elaborazione dell’edizione critica per conoscere alcuni aspetti musicologici tra cui quelli legati al raffinato Rondò di Leonora, al breve intermezzo sinfonico dal misto sapore romantico-neoclassico della settima scena, al grazioso Finale ultimo nel secondo atto.
La trama è centrata su sei personaggi, spettro incluso, la cameriera Isabella, Noemi Schiavone, travestita da fantasma: il ricco vedovo Don Alonso decide di risposarsi con la giovane pupilla Donna Costanza di cui è tutore e pertanto non acconsente al matrimonio di lei con l’amato Don Gonzalo. Donna Leonora, designata dalla moglie defunta, Matilde, quale futura sposa di Don Alonso, escogita un piano con l’aiuto del servo Diego e della giovane coppia per indurre il vecchio vedovo a sposarla, facendo leva sul suo terrore per i fantasmi. L’apparizione del fantasma di Matilde indurrà Don Alonso ad accettare le nozze con Leonora, la quale, tuttavia, a burla rivelata, decide di rinunciare all’unione forzata per non rendere infelice il vecchio. Il lieto fine è assicurato dal vecchio che acconsente alle nozze tra i due giovani e promette eterno amore a Leonora.
Minimalista ed essenziale è la scena realizzata con la regìa di Piero Mastronardi. Pochi tubi di metallo circoscrivono il perimetro e le finestre dell’unica sala “atemporale” in cui i personaggi si muovono, anche dietro quinte trasparenti, tra vapori di nebbia artificiale e sotto i riflettori di un cangiante gioco di luci e ombre atto a enfatizzare l’atmosfera di mistero e il loro stato emotivo: dalla paura allo spavento, alla gioia. Di Flavia Tomassi sono gli eccentrici e colorati costumi dai tratti caricaturali di un’indefinita epoca storica, che appaiono fuoriusciti da un mazzo di carte dei tarocchi, con parrucche simil settecentesche e cappelli stravaganti che caricano l’atmosfera di comicità con effetti visivi misti tra il ridicolo, il fantasioso e il bizzarro. Il contribuito come light designer è offerto da Lucio Stramaglia.
Un cast di tutto rispetto dà voce all’opera. Di rosso vestita è Sara Intagliata che, nei panni di Donna Eleonora, esprime una vocalità incisiva con azione scenica dinamica ed eloquente rispetto alla fermezza e al carattere del personaggio interpretato. Così, il citato Rondò “A dar pace alle tue pene” e l’Aria “Sapete che dicea all’infedele Enea” sono esibiti dal soprano tarantino con chiara bravura tecnica ed espressiva. Di estrema leggerezza è la voce del soprano Martina Tragni, una Donna Costanza in giallo, la cui timida esibizione del primo atto evolve nella più convincente, raffinata e applaudita prestazione vocale espressa con bei filati nel secondo atto, come nell’Aria “Giusto ciel che annunzio è questo!”. Ha ben caratterizzato il personaggio di Don Alonso il bravo Giampiero Delle Grazie, baritono-basso comico, tanto disinvolto sulla scena quanto chiaro nella dizione e vocalità. Benché poco dinamico, assai prestante è apparso Marco Saccardin, baritono di “qualità”, per dirla alla Figaro; ha vestito i panni di Diego, servo di Don Alonso, caratterizzando la scena con compassata comicità e suonando, a sorpresa, anche la tiorba. Bene il tenore di grazia Manuel Caputo, un Don Gonzalo discreto, misurato nell’azione e ben apprezzato per l’agile esibizione dell’Aria “Se dice una parola”.
Un grande plauso va a Domenico Virgili per la competenza direttoriale e la sapiente tenacia con cui ha saputo guidare e sostenere i giovani componenti dell’Orchestra del Conservatorio Giovanni Paisiello nell’esecuzione di un’opera complessa e di non facile esecuzione soprattutto per la tenuta dell’agogica e della velocità nei pezzi caratterizzati da un certo brio. Una nota di merito è per il Maestro collaboratore Fabio Anti per la bravura esibita nell’accompagnamento dei “recitativi” al cembalo.
Nel complesso, l’opera si apprezza sia per l’aspetto drammaturgico, sia per la messa in scena. Quanto al libretto, si evidenziano alcuni aspetti innovativi rispetto a quelli tradizionali della commedia per musica: l’intraprendenza di Donna Leonora, che escogita essa stessa il canonico inganno togliendo il primato dell’ideazione e azione al servo di plautina memoria, ma anche la sua umanità nell’atto finale di rinuncia alle nozze come gesto carico di sentimento e di nobiltà d’animo; si evidenziano i rimandi alla mestizia di Didone per l’infedele Enea, all’amore di Orfeo per Euridice, evocato da Christoph Willibald Gluck nell’ Aria “J’ai perdu mon Eurydice?”, quali chiari riferimenti sia ai componimenti classici, sia ai temi peculiari della riforma goldoniana: l’“amore” e la “gelosia”, recepiti dall’erede di Metastasio, il romano Mattia Verazi e tradotti in versi per il componimento del pasticcio.
Lo Spettro errante si conclude con ampio successo per tutti, tributati con applausi da un pubblico apparso e dichiaratosi soddisfatto per quanto visto e ascoltato.
Soddisfazione generale anche per la consegna del premio Giovanni Paisiello Festival a Paolo Giovanni Maione, come preludio allo spettacolo, per il contributo da lui offerto alla riscoperta e valorizzazione dell’arte di Paisiello attraverso ricerche e saggi musicologici.