L’allestimento di un’opera comica segue un processo di affinamento ed evoluzione sulla scena molto diverso rispetto ad un’ opera s...
L’allestimento di un’opera comica segue un processo di affinamento ed evoluzione sulla scena molto diverso rispetto ad un’ opera seria. Infatti se un melodramma, una volta impostato nel corso delle prove, non muta sostanzialmente dal debutto all’ultima rappresentazione, per il genere comico è invece indispensabile la risposta del pubblico, sia per testare se i meccanismi studiati ottengono l’effetto sperato, sia (e questo accade soprattutto quando si hanno dei grandi interpreti) per sfruttare l’elemento improvvisazione, indispensabile in questo repertorio.
Per questo molte messinscene di opere buffe che alla “prima” possono soffrire di qualche incertezza e legnosità, nel corso delle repliche acquistano sempre maggiore fluidità e scioltezza, arricchendosi di nuove trovate sera dopo sera. E questa è stata l’impressione che si è avuta assistendo all’ultima replica del Barbiere di Siviglia nell’allestimento presentato quest’anno all’Arena di Verona: un ingranaggio sapientemente calibrato ma allo stesso tempo sufficientemente elastico da permettere ai cantanti di giocare con i loro personaggi e di farli crescere in un clima di rilassato e divertente.
Merito innanzitutto del ricercato allestimento curato da Hugo Da Ana nella consueta veste di regista, scenografo e costumista, che ha scelto di ambientare l’azione in un rigoglioso e coloratissimo giardino alla francese, in cui la frenetica follia degli avvenimenti è stata amplificata da una serie di figuranti mossi dalle eleganti coreografie stile “carillon” di Leda Lojodice. Per il resto la regia si è svolta su binari sostanzialmente tradizionali con i pochi cambi scena sottolineati da alcuni spostamenti delle siepi che delimitavano la scena e svelavano, od occultavano, alcuni oggetti quali una fontana, un clavicembalo e così via.
Da sottolineare gli sfarzosi e preziosissimi costumi, a mio avviso i più belli tra quelli realizzati per i vari allestimenti areniani di questa stagione, che vestivano un cast di eccellenti cantanti-attori. Nel ruolo del titolo il baritono Franco Vassallo è stato un Figaro spavaldo e di grande comunicativa, dalla voce sicura e robusta, al punto da dover cedere alle insistenti richieste di bis della cavatina “Largo al factotum”.
Apprezzatissima rivelazione nel ruolo di Almaviva è stato il giovane Francesco Meli, che, pur non possedendo il classico timbro da “tenorino” di grazia (cui una certa tradizione interpretativa ci aveva abituato) ma una bella e squillante voce di tenore lirico, ha dato prova di grande versatilità, prodigandosi in cadenze ed abbellimenti. Rimarchevole anche la prova di Annick Massis, che appartiene al novero delle Rosine in chiave sopranile; caratteristica che però non le ha impedito di esibire, oltre ad una perfetta padronanza degli acuti, un seducente registro centrale ed un peso vocale in grado di affermarsi anche nelle vastità dello spazio areniano.
Vero mattatore della serata l’impagabile Bartolo di Bruno de Simone, del quale si possono scrivere solo lodi: uno dei rari casi in cui il canto e la recitazione, ambedue coltivati con talento ed intelligenza, si fondono in un unicum che lo rende interprete rossiniano d’eccellenza.
Corretto, ma senza raggiungere le vette dei suoi colleghi è stato il Basilio di Giorgio Surjan, non particolarmente incisivo e spesso privo della carica sulfurea che sarebbe propria del personaggio. Apprezzata nel canto e nella simpatica caratterizzazione la Berta di Francesca Franci.
Unico neo della serata la direzione di Caludio Scimone, che, alla testa di un’orchestra ridimensionata nell’organico ma non sempre pulitissima negli attacchi, ha staccato dei tempi troppo spesso di una lentezza estenuante, al punto da allungare eccessivamente la durata di alcune scene, oltre a comprometterne seriamente la tensione ritmica.
La serata è comunque proseguita con entusiasmo crescente da parte del pubblico sino a quando una fastidiosa pioggia, abbattutasi sull’anfiteatro proprio nel momento in cui dall’orchestra si sarebbe dovuto levare il temporale musicale che prelude al finale dell’opera, ha interrotto bruscamente la recita, impedendo che all’intero cast venissero tributati i meritati applausi.
Davide Cornacchione 30 agosto 2007