
Pieno successo dell’Orchestra della Svizzera Italiana diretta da Michele Mariotti in un programma che comprendeva Bosmans, Saint Saëns e Mendelssohn
È stato un viaggio a ritroso nella musica romantica quello offerto dall’Orchestra della Svizzera Italiana diretta da Michele Mariotti all’interno della stagione concertistica del Teatro Ponchielli. Il programma si è aperto infatti con il tardo romanticismo - quasi fuori tempo massimo- del Poème per violoncello e orchestra di Henriëtte Bosmans, composto negli anni ’20 del secolo scorso ed ancora legato ad uno stile che si rivolge alla musica ottocentesca e precede la svolta modernista che la compositrice olandese intraprenderà successivamente. Una partitura nel complesso gradevole, intessuta di lirismo, che in alcuni casi sembra anticipare quello che a partire dal decennio successivo sarà il linguaggio della musica da film.
Più articolato e stilisticamente più raffinato il secondo brano in programma, ovvero il Concerto per violoncello n.1 ultimato da Camille Saint Saëns nel 1873. Una pagina dalla struttura fluida in cui i tre movimenti, seppure nettamente distinti, si susseguono senza soluzione di continuità, in un’architettura aperta in cui la perfetta alternanza tra solista e orchestra fa sì che l’uno non prevalga sull'altro. Ed infatti l’esecuzione ascoltata è stata caratterizzata dal perfetto equilibrio che si è creato tra l’orchestra e la violoncellista Raphaela Gromes, già protagonista del precedente Poème. La musicista tedesca ha confermato il suo impeccabile controllo ed un fraseggio ricco ed espressivo come già evidenziato nell'esecuzione di Bosmans. La virtuosistica scrittura di Saint Saëns è stata resa coniugando alla perfezione lirismo e tensione drammatica fino al finale, nel quale Mariotti ha sollecitato l’orchestra staccando un tempo impetuoso ed incalzante al quale Gromes ha risposto da grande interprete.
Terminata la prima parte tra gli applausi scroscianti ed un apprezzatissimo bis, la seconda era incentrata sulla Terza sinfonia “Scozzese” di Felix Mendelssohn Bartholdy, pagina a lungo elaborata dall’autore -la sua composizione durò quasi tre lustri- che trasse ispirazione da melodie popolari che contribuiscono a creare un’atmosfera evocativa di grande suggestione e che nell’Adagio raggiunge il vertice dell’ispirazione.
Avendo a disposizione un’orchestra contenuta nell’organico. Mariotti ha optato per una lettura dai tratti cameristici, quasi intimista ma attentissima alle dinamiche: misteriosa nel primo movimento, spigliata nello Scherzo, malinconica ed introspettiva nell’Adagio e ritmata e pulsante nel finale, assecondato da un’orchestra duttile e in perfetta sintonia con il podio.
Il pubblico del Teatro Ponchielli, numeroso, ma non come la qualità del concerto avrebbe meritato, ha tributato al termine applausi calorosi e convinti.