Ospite d'onore Luciana Savignano
Diretto da Paolo Baroni, lo spettacolo di danza a cura di Daniele Cipriani, supportato da una buonissima performance degli strumentisti dell’Orchestra del teatro ligure, soddisfa le aspettative del pubblico che si lascia cullare dalle melodie oniriche di un compositore stravagante che, insieme a Claude Debussy, ha contribuito in maniera decisiva alla diffusione di un modo nuovo di concepire e presentare la musica. Ascoltare Ravel conduce a perdersi in un’esperienza sonora meravigliosa: si sa da dove si parte, ma non si è consci del punto di arrivo, perché le soluzioni delle frasi non sono mai scontate, ma fanno esplorare sempre nuovi orizzonti di ricchezza armonica e melodica. La sua è una musica di complessa lettura e non semplice da eseguire e interpretare.
Lo spettacolo, intitolato Boléro-Ravel, ha preso il posto del balletto Coppelia, in programma ad inizio stagione. Lo scorso 26 novembre, infatti, la Fondazione Teatro Carlo Felice si è vista costretta la ad annunciare la sostituzione del titolo in seguito ad un incendio verificatosi nei giorni precedenti nei locali dove erano conservati scene, costumi e materiali di allestimento.
Senza perdersi d’animo, si è puntato sullo spettacolo di Daniele Cipriani, scelta azzeccata e felice.
Le coreografie sono curate da Rafael Aguilar, Sergio Bernal, Francesco Nappa, Simone Repele e Sasha Riva, regia teatrale di Anna Maria Bruzzese, testi di Vittorio Sabadin.
Sul palco, in apertura e in scena a conclusione di ogni balletto, gli attori Alessandro Ambrosi e Marco Guglielmi. Essi impersonano due giornalisti e il loro compito è quello di presentare gli aspetti salienti della vita di Ravel. Dal ricordo della prima medaglia conseguita in conservatorio si passa ai cinque fallimenti al Prix de Rome, l’ultimo dei quali, nel 1905 suscitò uno scandalo mediatico che contribuì a diffondere e celebrare maggiormente l’estro compositivo del giovane francese. Gli attori leggono recensioni dei critici sulla “Rapsodie Espagnole”, sulla “Pavane pour une infante défunte” ( spiegando anche al pubblico cosa sia la pavana), su “La Valse” ed infine, sul Boléro quando, raccontando un particolare sicuramente evitabile (“gli hanno aperto la testa”), della morte del compositore, dinanzi alla presenza della ballerina Luciana Savignano che finge per l’occasione di essere Ida Rubinstein, danzatrice che commissionò a Ravel il Boléro, cercano di indagare, dalle risposte che ella fornisce alle loro domande, in merito ad un presunto flirt tra la donna e Ravel. Non manca una menzione alla partecipazione volontaria di Ravel alla prima guerra mondiale in qualità di autista di ambulanze e camion.
La serata inizia con l’esecuzione della “Rapsodie Espagnole”, in quattro movimenti intitolati rispettivamente “Prélude à la nuit”, “Malaguena”, “Habanera”, “Feria”. L’influenza della musica spagnola su Ravel è forte (la madre era di origini basche). Caratteristica del Prélude sono le quattro note discendenti (fa, mi, re, do diesis), suonate prima dagli archi e poi dai fiati (che sembrano farsi annunciatori di una condanna irrevocabile), su cui si costruisce una melodia misteriosa che sfocia a tratti in lampi melodici graziosi. Il clarinetto introduce, poi, la “Malaguena”, di durata appena superiore ai due minuti, dove i fiati paiono disegnare il suono di una ventosa tempesta prima dell’ingresso di una frase segnata dal suono delle nacchere che rimandano pienamente ad un’atmosfera spagnola. Spazio ad un delizioso assolo di oboe sostenuto dagli archi, che in seguito ridanno voce alle quattro note discendenti, come a voler ricordare che quella condanna resta in atto.L’Habanera è un rilassato e rilassante andante, a tratti ipnotico se ci si sofferma sull’accompagnamento statico degli archi che fa da contorno ad una frase quieta e ripetitiva. Si arriva alla Feria, trionfo della musica iberica con le nacchere e la presenza imponente delle percussioni, mentre un silenzioso oboe presenta un frammento di una piccola parte di un tema che c’è nel Boléro; un motivo gioioso è affidato al flauto traverso. Tutto sembra felicità e distensione, ma quelle quattro note all’improvviso ritornano, in contrasto con la musica piacevole, ma sono presto smorzate da un finale imponente (è più corretto scrivere di un insieme di finali), con archi e percussioni che svettano urlando, sulla restante parte dell’organico orchestrale, la conclusione del brano.
A ballare la Pavane Luca Curreli e Jacopo Giarda, con la partecipazione straordinaria di Luciana Savignano. Se non traduciamo il titolo letteralmente e in modo erroneo, immaginando non una danza in onore di una bambina morta, ma una danza per ricordare una principessa (una ragazza di nobili origini, di famiglia perbene), vissuta in passato, in tempi che furono, allora l’ascolto cambia ed è come si proiettasse sullo schermo della mente del pubblico l’esistenza intera di una persona fatta di sogni, di ambizioni realizzate, di cocenti delusioni, mentre il sentimento suscitato nel cuore è quello di una forte nostalgia.
Per il poema coreografico La Valse, rappresentato in prima assoluta, sale sul palcoscenico l’affiatato duo formato dai ballerini Anbeta Toromani e Alessandro Macario. Tra i diversi elementi melodici che lo compongono emerge la forte somiglianza di uno di essi con il tema principale del quarto degli otto brani che costituiscono i Valses Nobles et Sentimentales (dal titolo Assez Animé), che furono pubblicati dieci anni prima rispetto a La Valse (1921), precisamente nel 1911 in versione pianistica e l’anno seguente in versione orchestrale. Chiaramente percepibile dopo oltre due minuti di esecuzione, è affidato prima all’oboe e poi ripreso subito dopo da un energico insieme di archi. Una composizione avvincente, piacevole, dal finale inaspettato, arricchita dai movimenti degli artisti sul palcoscenico.
Infine, il Boléro. Ballerino principale Sergio Bernal, circondato da dodici bravi danzatori, sei uomini e sei donne, della Sergio Bernal Dance Company. Il ritmo ripetuto in modo ossessivo, i soli due temi melodici cantati da sempre più strumenti (si parte dal flauto traverso), culminano in un crescendo orchestrale che sviluppa nel pubblico un senso di partecipazione ed una tensione che risolve solo alla fine, col passaggio di tonalità da do maggiore a mi maggiore, con quella conclusione fragorosa che spazza via ogni incubo e riporta il sereno e la pace.