Recensioni - Cultura e musica

Alla Scala un contestato Ballo in Maschera Bostoniano

Bostoniano e scenografico l’ultimo allestimento scaligero del Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi, curato per la parte visiva dall...

Bostoniano e scenografico l’ultimo allestimento scaligero del Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi, curato per la parte visiva dalla regia di Liliana Cavani con le scene di Dante Ferretti e i costumi di Gabriella Pescucci.

In verità la messa in scena si può definire in massima parte oleografica e completamente appiattita sulle pur belle scenografie, che riproducevano lo stile sobrio della Boston coloniale settecentesca, con tanto di festa in maschera in un portico stile “Via col Vento” per l’ultimo atto. Sontuose dunque le scene e adeguati i costumi, ma sostanzialmente inesistente la regia che si limita a fare entrare il coro da destra e da sinistra e a lasciarlo scandalosamente immobile, anzi in posa, senza il ben che minimo accenno di realismo in uno spettacolo curatissimo che paradossalmente cerca in ogni dettaglio di riprodurre la realtà (vedi i servitori rigorosamente neri o mulatti). Anche il lavoro sui cantanti è risultato, dal punto di vista registico, insoddisfacente e quasi nullo, cosicchè si sono viste l’altra sera tornare in auge le calssiche pose affettate del cantante ottocentesco con la mano destra costantemente protesa verso il pubblico.

La scena finale del ballo era indubbiamente sfarzosa e gran parte vi facevano i costumi di Gabriella Pescucci, ma anche qui la regia restava convenzionale. Bella invece la semplice coreografia di Mischa Van Hoecke, che alternava i lenti movimenti del minuetto ad improvvise e controllatissime accellerazioni, il tutto immaginato in una sontuosa lezione di ballo in cui Elisabetta Armiato faceva da Maestro di Danza rubando più volte la scena e l’attenzione agli altri interpreti. Purtroppo il “Ballo in Maschera” è opera difficile in cui la drammaturgia, invero abbastanza farragginosa, non aiuta a rendere particolarmente credibile la situazione, ma proprio per questo non è possibile lasciare i cantanti completamente a se stessi.

Gli stessi interpreti, ed in particolare il tenore Salvatore Licitra, mostravano gravi difficoltà a capire e ad interpretare il loro personaggio offrendo una prova anche corretta, ma completamente insignificante dal punto di vista del coinvolgimento del pubblico nella vicenda. Stentoreo, monocorde e privo di fraseggio Licitra, fuori parte la pur corretta Maria Guleghina, inespressivo il baritono Bruno Caproni che però aveva l’attenuate di essere un sostituto. Il pubblico ha più volte “beccato” dal loggione sia Licitra che la più incolpevole Guleghina. L’aria di Riccardo del terzo atto, cantata con tutti gli acuti ma in modo sguaiato e inespressivo, è passata in un silenzio gelido.

Nel mucchio si salvavano con buone prestazioni e finalmente un po’ di stile interpretativo l’Oscar di Ofelia Sala, con acuti svettanti e fluente facilità nella coloratura, e la Ulrica di Mariana Pentcheva dotata di un buon registro scuro. Corretti e professionali i Tom e Samuel rispettivamente di Giancarlo Boldrini e Giovanni Battista Parodi.

Discorso a parte per la direzione di Riccardo Muti e la prestazione dell’orchestra e del coro scaligero, che hanno dato prova di un’ottima maturità espressiva unita ad una grande luminosità d’insieme. Muti ha diretto in maniera coivolgente e appassionata soprattutto nel secondo atto offrendo una prova convincente. Nonostante ciò lo spettacolo risultava squilibrato fra quanto di buono si sentiva in buca e quanto accadeva in palcoscenico. Alla fine il pubblico ha congedato gli artisti dopo due sole chiamate a proscenio.

(Martedì 15 Maggio 2001)
R. Malesci