
Un percorso tra Brahms, Ravel e Bizet
È ancora una volta un découpage di alta artigianalità, il cartellone numero 76 del Festival de Musique de Menton, inaugurato lo scorso 22 luglio e avviatosi alle sue battute finali, con il concerto di chiusura previsto la sera dell’8 agosto. In un intenso dialogo con i luoghi della città che dal suo borgo vecchio guarda all’Italia – la terrazza mozzafiato del Parvis, la vitale atmosfera delle Sablettes, l’eleganza del Palais de l’Europe – la grande musica continua, anno dopo anno, ad intrecciare con la città e con un pubblico che spazia dagli addicted agli ascoltatori occasionali, una relazione sempre più salda.
La firma di Paul Emmanuel Thomas ha saputo imprimere ancora una volta all’alta qualità delle proposte il sigillo, tutto personale, di un valore aggiunto fatto di diversità di generi, linguaggi e approcci interpretativi, ma anche di un costante confronto e scambio tra generazioni. Nel Salon de Grande Bretagne del Palais, lo scorso 2 agosto, di fronte ad una platea da tutto esaurito, a fare il loro debutto sul palco del Festival è stato il duo costituito dal violino di Elias Moncado e dal pianoforte di Mirabelle Kajenjeri, freschi di laurea presso quel vivaio di eccellenze che è la Fondation di Gautier Capuçon. Una formazione giovane non solo per dato anagrafico ma anche per recentissima costituzione, eppure già perfettamente in grado di intessere con spiccata sicurezza un dialogo appassionato, condotto con quella gioiosa maturità che è propria della sola natura. Un dialogo che si apriva sulle atmosfere di serena, affettuosa cordialità che abitano la Seconda Sonata op.100 di Brahms, composta nello scenario incantato del lago di Thun, e che si dirigeva subito dopo verso gli estrosi accenni improvvisativi, con colori e ritmi ammiccanti al blues, della Sonata di Ravel.
E se da subito a spiccare era la svettante strumentalità di Moncado, intonazione millimetrica e la multiforme plasticità di un arco cantante, perfetto per disegnare frasi degne delle nostalgiche visioni brahmsiane così come per vestirsi di suoni rauchi, evocativi, per molti versi cinematografici, di Ravel, a tessere una tela di magistrale plasticità e di guizzante duttilità era una straordinaria Kajenjeri, nel suo pianismo cucito punto per punto, frase per frase, addosso alla cordiera del violino. Libero, danzante, perfetto. L’arte del camerismo in un’ora e poco più di musica; un ascoltarsi che diventava reciproca ispirazione, papabile divertimento nello scoprire, attraverso la pagina, meraviglie sempre nuove da assaporare insieme, godendo dell’istante condiviso. Magistrale era, a questo proposito, il famoso blues della sonata raveliana, snocciolato con quell’eleganza sensuale e già così consapevolmente atteggiata, come su un immaginario set di un film color seppia, che diceva di due interpreti di razza. Tutto votato alla valorizzazione di Moncado il finale di concerto, con il virtuosismo scavezzacollo della rutilante Fantasia dalla Carmen di Bizet trascritta da Waxmann e, a chiudere, sull’invito pressante del pubblico – con il lirismo della celebre Méditation tratta da Thais di Massenet. Il titolo del pomeriggio musicale era “Maitres de demain”. Ma il domani di questi due ragazzi profuma già di un luminoso oggi.