Recensioni - Cultura e musica

Artemisia, dalla pittura al teatro alla musica

Al Teatro all'Antica di Sabbioneta la vicenda artistica e dumana di Artemisia Gentileschi

Fa raccapriccio solo a vederla. Sapendo che è finzione, sapendo che a dividerci sono oltre quattro secoli di storia. La vicenda umana di Artemisia Gentileschi, un’esistenza caravaggesca nella trama ancor prima che nel drammatico chiaroscuro delle sue tele, gravita tutta attorno a quell’amore carpito con la brutalità, còlto con la forza della sopraffazione, in un mondo disegnato dagli e per gli uomini.

Nello spettacolo dedicato alla pittrice romana, cresciuta alla bottega del padre Orazio, di lui allieva così geniale da oscurarne la fama, la regia in forma semiscenica di Angelo Manzotti è a sua volta inesorabile lama di luce che trafigge le ombre della storia, le vigliaccherie di una reticenza omertosa. Nello scrigno del Teatro all’Antica di Sabbioneta, lo scorso sabato 29 novembre, “Heic Artemisia” trovava la perfetta incastonatura per srotolare, come una sacra rappresentazione, con istantanee sublimate in quadri viventi, la vita di una donna perennemente in fuga dai demoni che la vogliono vittima di abusi e, paradossalmente, macchiata dallo stigma della peccatrice. Un racconto che scorreva nel giro di compasso di un’unica scena fatta di elementi, ognuno tappa e simbolo di una cicatrice.

Il tavolo da lavoro affollato di libri e pigmenti, pronto a diventare, di lì a poco, tavolo di un tribunale che la vedrà processata; il letto su cui si consuma la brutale violazione ad opera di Agostino Tassi. E, svettante, sullo sfondo, la tela che renderà celebre il suo nome: Giuditta che decapita Oloferne, realizzata poco dopo lo stupro, ideale vendetta ad eterna memoria. Un racconto sincopato e urticante ma, allo stesso tempo, avvolto dello smalto di una sobria eleganza, che Manzotti ha cucito con minuzia addosso alla voce di un’intensa Daniela Felzani a partire dallo studio delle carte processuali, contrappuntandone la crescente drammaticità con un ventaglio di contributi musicali in cui lo stesso controtenore è stato affiancato dalla brava Linda Campanella e dai valorosi musicisti dell’ensemble Vago Concento.

Così, alle parole di Artemisia facevano eco le voci ora sublimi, ora sensuali, ora furoreggianti di Purcell, Haendel, Vivaldi, Marcello, efficacemente plasmate dalla puntuale direzione di Marcello Rossi Corradini, incalzante anche al clavicembalo. Applausi generosi anche all’Orazio di Luigi Castelli, al Giudice di Cesare Dossena, al Giovan Battista Stiattesi di Santo Denti, e a tutte le comparse, magnifiche, nella scena finale di una processione funebre, con candele in mano depositate come fiori di luce in una sala fattasi buia. Heic Artemisia. Qui giace Artemisia, donna pericolosamente libera, intelligente, bella. Scomoda, in un mondo che, ahinoi, non sembra cambiato granché. Una raccomandazione: per una prossima volta, si stampi un programma che accompagni lo spettatore con i nomi degli interpreti e la sequenza delle pagine eseguite. Sicuramente, l’eco di quell’emozione avrebbe una corsa più lunga e, di certo, il sapore di una maggiore consapevolezza.