
Un allestimento di grande impatto visivo ben interpretato da un cast giovane
La Bohème, opera lirica in quattro quadri di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica è tornata al Teatro Grande di Brescia. Il libretto, ispirato al romanzo di Henri Murger Scènes de la vie de Bohème ebbe una gestazione abbastanza lunga, per la difficoltà di adattare situazioni e personaggi del testo originario all’impalcatura di un'opera musicale. L'orchestrazione della partitura procedette invece speditamente e fu completata nel dicembre 1895. Meno di due mesi dopo, il 1º febbraio 1896, La Bohème fu rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino, diretta dal ventinovenne maestro Arturo Toscanini, con buon successo di pubblico, mentre la critica ufficiale, dimostratasi all'inizio piuttosto ostile, dovette presto allinearsi ai generali consensi.
La vicenda dell’opera è ambientata nella Parigi del 1830 e racconta le vicende di un gruppetto di giovani e spensierati artisti.
Il primo quadro è ambientato in una soffitta, la sera della vigilia di Natale. Il pittore Marcello, che sta dipingendo un Mar Rosso, e il poeta Rodolfo tentando di scaldarsi con la fiamma di un caminetto alimentandolo di volta in volta con una sedia o la carta di un poema scritto da quest'ultimo. Giungono il filosofo Colline e il musicista Schaunard che entra trionfante con un cesto pieno di cibo e la notizia di aver finalmente guadagnato qualche soldo. I festeggiamenti sono interrotti dall'inaspettata visita di Benoît, il padrone di casa venuto a reclamare l'affitto, che però viene liquidato velocemente. È quasi sera e i quattro bohémiens decidono di andare al caffè di Momus. Rodolfo si attarda un po' in casa, promettendo di raggiungerli appena finito l'articolo di fondo per il giornale "Il Castoro".
Rimasto solo, Rodolfo sente bussare alla porta. Una voce femminile chiede di poter entrare. È Mimì, la vicina di casa: le si è spenta la candela e cerca una fiamma per poterla riaccendere. Una volta riacceso il lume, la ragazza si sente male: è il primo sintomo della tisi. Quindi fa per andarsene, quando si accorge di aver perso la chiave della sua stanza: inginocchiati sul pavimento, al buio (entrambi i lumi si sono spenti), i due iniziano a cercarla. Rodolfo la trova per primo e la nasconde in una tasca. Quando la sua mano incontra quella di Mimì ("Che gelida manina"), il poeta chiede alla fanciulla di parlargli di lei. Mimì gli confida d'essere una giovane ricamatrice e di vivere sola, facendo fiori finti. Gli amici dalla strada vengono a reclamare Rodolfo. Mimì accetta di accompagnarlo e i due lasciano insieme la soffitta alla volta del caffè di Momus.
Il secondo quadro è ambientato nel quartiere latino di Parigi, al caffè Momus. Rodolfo e Mimì hanno raggiunto gli altri bohèmiens. Il poeta presenta la nuova arrivata agli amici e le regala una cuffietta. Al caffè si presenta anche Musetta, una vecchia fiamma di Marcello, che lo ha lasciato per tentare nuove avventure con il vecchio e ricco Alcindoro. Riconosciuto Marcello, Musetta fa di tutto per attirare la sua attenzione, cogliendo al volo un pretesto per scoprirsi la caviglia. Marcello non può resisterle e i due amanti fuggono insieme agli altri amici, lasciando al ricco amante di Musetta il conto da pagare.
Il terzo quadro si apre con lo scenario della Barriera d’Enfer. Sono trascorsi due mesi e c’è neve ovunque a febbraio a Parigi. La vita in comune si è rivelata ben presto impossibile: le scene di gelosia fra Marcello e Musetta sono ormai continue, come pure i litigi e le incomprensioni fra Rodolfo e Mimì, accusata di essere una ragazza leggera. Per di più Rodolfo ha capito che Mimì è gravemente malata e che la vita nella soffitta potrebbe pregiudicare ancor più la sua debole salute; i due vorrebbero separarsi, ma lo struggente rimpianto delle ore felici trascorse insieme li spinge a rinviare l'addio alla primavera.
Il quarto quadro è nuovamente ambientato nella soffitta dove separati da Musetta e Mimì, Marcello e Rodolfo si confidano l’un l’altro le loro pene d'amore. Quando Colline e Schaunard li raggiungono, le battute e i giochi dei quattro bohémiens servono solo a mascherare la loro disillusione. All'improvviso sopraggiunge Musetta accompagna Mimì ormai prossima alla fine. Qui ricordando insieme a Rodolfo l’infinita tenerezza dei giorni del loro amore, Mimì si spegne dolcemente circondata dal calore degli amici e dell'amato Rodolfo. Apparentemente assopita, inizialmente nessuno si avvede della sua morte. Il primo ad accorgersene è Schaunard, che lo confida a Marcello. Nell'osservare gli sguardi e i movimenti degli amici, Rodolfo si rende conto che è finita.
L’allestimento della Bohème, proveniente dall’Opera Festival di Bassano del Grappa in collaborazione con il Teatro Verdi di Padova è stato curato da Ivan Stefanutti: scene, costumi erano davvero molto curati e riusciti, anche se le tonalità del grigio avrebbero forse potuto essere modificate nel secondo atto, rendendolo più allegro aggiungendo qualche altro colore.
La direzione orchestrale de “I pomeriggi musicali” affidata alla bacchetta de maestro Damian Iorio è stata ottima e il secondo atto è stato un piccolo cameo per la gioia trasmessa dal coro delle voci bianche del Teatro Sociale di Como e per l’ottima interpretazione di Elisandra Pérez Mélian nel ruolo di Musetta.
Le due arie più famose del primo quadro, Che gelida manina e Sì, mi chiamano Mimì sono state ben intonate dai protagonisti, Gülbin Kunduz nel ruolo di Mimì e Giuseppe Varano in quello di Rodolfo, anche se quest’ultimo talvolta rischiava di essere coperto dall’orchestra. Nel terzo quadro la voce di Varano è stata più convincente e la scena presso la dogana è stata piena di tenerezza, così come il duetto finale che precede la morte di Mimì è stato recitato e cantato con immensa dolcezza da entrambi i protagonisti.
Divertenti e simpatici Federico Sacchi e Francesco Landolfi, rispettivamente nei ruoli di Colline e Schaunard.
Sonia Baccinelli 24 ottobre 2009