Grigory Sokolov attualmente è, a mio avviso, il più grande erede di quella tradizione russa di pianismo che ha annoverato in temp...
Grigory Sokolov attualmente è, a mio avviso, il più grande erede di quella tradizione russa di pianismo che ha annoverato in tempi recenti i Richter e i Gilels e che potrebbe, ma è ancora un po’ presto per dirlo, cedere in futuro il testimone a quel Volodos che stiamo imparando a conoscere, visto che di altre promesse di qualche lustro fa, penso ad esempio a Kyssin, ormai si sente poco parlare.
Esecutore dalla tecnica eccellente (pretende sempre l’accordatore nell’intervallo dei suoi concerti) Sokolov trasforma ogni sua esibizione in un piccolo rito, quasi si trattasse di una circostanza personale più che di un evento pubblico. Innanzitutto l’illuminazione bassissima della sala, scelta che ricorda gli ultimi concerti di Sviatoslav Richter nei quali solo uno spot sul pianoforte fendeva il buio assoluto in cui era immersa la platea, e poi la richiesta di non interrompere l’esecuzione con degli applausi, scelta che può portare anche ad udire tre sonate di Beethoven senza soluzione di continuità, quasi si trattasse di un’unica lunga suite.
Il concerto ascoltato quest’anno a Brescia si è aperto con due magnifiche interpretazioni di due brani di Johann Sebastian Bach, ovvero la Sonata in la minore BWV 965 e la Ciaccona, trascritta da Brahms per la sola mano sinistra. In merito alla discussione se sia legittimo che la musica per tastiera di Bach, ormai appannaggio dei filologi clavicembalisti, possa essere a ragione eseguita anche per pianoforte, rispondo manifestando la mia indiscussa ammirazione per le Goldberg di Gould, per il Clavicembalo ben temperato di Richter e per le esecuzioni clavicembalistiche di Wanda Landowska, ovvero quanto di più anti-filologico si possa concepire. Si tratta in sostanza di due realtà ben distinte che possono benissimo coesistere, in cui una non può escludere l’altra pena la perdita di interpretazioni memorabili; e dopo aver sentito anche queste letture di Sokolov non posso che essere ancora più convinto di ciò. A maggior ragione se si pensa che questa Ciaccona a voler ben vedere è un pezzo di Brahms, ovvero un lavoro stupendo in cui il maestro di Amburgo fa trasparire qua e là quelle sonorità granitiche che caratterizzano il suo stile, sposandole meravigliosamente con la struttura bachiana. La lettura di Sokolov di questo Bach “attualizzato” è stata memorabile, per tecnica, espressività, ricercatezza delle sonorità, tensione dinamica ed è stata accolta al termine da una piccola ovazione.
La seconda parte del concerto, come già accennato prima, era dedicata a tre sonate di Ludwig Van Beethoven: le due composizioni dell’op. 14 e la “Pastorale”. Una lunga arcata ininterrotta di musica della durata di quasi un’ora, in cui non si è persa una sola nota tanto era curata l’attenzione su ogni singolo particolare pur all’interno di una proposta di tali dimensioni. Innumerevoli gli accorgimenti e le cesellature ma senza mai dare l’impressione della ricerca dell’effetto gratuito o forzato.
Inevitabili al termine gli applausi entusiasti e le continue richieste di bis puntualmente esaudite da un Sokolov che, come sua abitudine, si è mostrato infaticabile, visto che alle 23.30 dopo oltre due ore di concerto attaccava generosamente il suo sesto bis: il bellissimo Preludio in si minore di Bach nella revisione di Alexander Siloti; un brano amato e spesso usato alla fine dei loro concerti da Richter e Gilels. Che sia solo coincidenza?
Davide Cornacchione 26/05/2003