L’immaginario che modifica la Storia. Geniale incursione di Tarantino nella funzione catartica del cinema.
Un film di Quentin Tarantino.
Con Brad Pitt, Eli Roth, Michael Fassbender, Christoph Waltz, Diane Kruger. Daniel Brühl, Til Schweiger, Mélanie Laurent, B.J. Novak, Samm Levine, Cloris Leachman, Samuel L. Jackson, Mike Myers, Julie Dreyfus, Paul Rust, Rod Taylor, Maggie Cheung, Christian Berkel, Léa Seydoux, Jacky Ido, Martin Wuttke, Gedeon Burkhard, Omar Doom, Michael Bacall, Enzo G. Castellari, August Diehl, Denis Menochet, Richard Sammel, Sylvester Groth, Michael Kranz, Ludger Pistor, Anne-Sophie Franck, Soenke Möhring, Anastasia Schifler
durata 160 min. - USA, Germania 2009. - Universal Pictures
1940-1941. Siamo nella Francia occupata dai nazisti.
C’è un prologo-primo capitolo, in cui un ufficiale nazista, Hans Landa (lo straordinario Christoph Woltz, premiato a Cannes), va a caccia di ebrei nella campagna francese. C’è un gruppo di ebrei americani, gli Inglourius Basterds del titolo, omaggio di Quentin ad Enzo G.Castellari, che compare in un cameo, e al suo “Quel maledetto treno blindato” del 1978, guidati da un goffo e spietato Aldo Raine (Brad Pitt, perfetto per la parte), che scova nazisti e li scalpa. C’è una ragazza, Shosanna (Melanìe Laurent), scampata al massacro iniziale, che con un compagno nero gestisce un cinema di periferia a Parigi; si troverà a dover ospitare una prima, L’orgoglio della nazione, diretto da Goebbels, ed alla presenza di tutto lo stato maggiore nazista. E c’è infine una diva –agente segreto, Bridget von Hammersmark, (Diane Kruger), che coordina insieme ai bastardi l’operazione Kino, complotto peraltro organizzato nelle alte sfere, addirittura da Churchill.
Tarantino compie un deciso salto di qualità e di contenuti, e ci dice che la Storia Reale sappiamo com’è finita, ma poteva anche andare diversamente, e la vendetta finale, operata attraverso la materialità della pellicola e due persone simbolo di due razze neglette, ebrei e neri, è magistrale in quanto a potenza figurativa ed espressiva. Come da scuola di cinema sono la scena iniziale e la scena centrale nella taverna. Peccato per il doppiaggio, inadatto per un film del genere, che sarebbe rigorosamente da vedere in lingua originale, anche se io sono una fan del doppiaggio.
Gli amanti del cinema puro possono sbizzarrirsi nella ricerca dei rimandi cinefili e musicali, giocati con raffinatezza, umorismo, maestria, passione assoluta, ma sempre al servizio della Storia, sua e collettiva, che il regista del Tennessee ci vuole raccontare. Penso anche che raramente sia stato rappresentato così sottilmente il sadismo mellifluo e suadente dei nazisti, che si esterna nella maschera grottesca del potere, il viso di Hitler.
Ha detto Tarantino «Il nazismo ormai è diventato un genere cinematografico come lo spaghetti western, il war movie, il thriller, il comico, la spy story: io li ho mescolati tutti insieme per uscire dai canoni banali con cui viene troppo spesso raccontata la seconda guerra mondiale». Nel raccontarci la sua visione del cinema e della vita il regista usa il mezzo cinematografico come un bel giocattolone, ma a quali livelli, e con quale etica.
La filosofa Hannah Arendt parlava di “banalità del male”, e il film ne è un teorema esplicativo.. chapeau, caro Quentin.
Elena Bettinetti