Recensioni - Cultura e musica

Bayadère, il sogno indiano di Petipa

Manuel Legris arricchisce il repertorio della Scala con la coreografia di Nureyev

Con la messa in scena della Bayadère di Rudolf Nureyev, Manuel Legris può legittimante essere considerato l’erede del tartaro volante nella tradizione scaligera. Il Direttore del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala di Milano è ormai prossimo alla scadenza (novembre 2025), ma il suo lavoro resterà a futura memoria del pubblico e delle nuove generazioni di danzatori. E chi meglio di Manuel Legris avrebbe potuto realizzare questo progetto dato che a soli diciannove anni lavorava sotto la direzione di Nureyev il quale lo nominò Etoile dell’Opera di Parigi di lì a tre anni (1986)?

Bayadère nasce a San Pietroburgo nel 1877, ma approda in Europa solo nel 1961 quando il Kirov in tournée a Parigi presenta il Regno delle Ombre. L’applauditissimo capolavoro di Petipa arriva per la prima volta alla Scala nel 1965 con il Royal Ballet ed i suoi più celebri interpreti, ovvero la coppia Fonteyn-Nureyev. Dal 1965 bisognerà attendere quasi trent’anni per rivedere il titolo in cartellone nel 1992 con la coreografia di Natalia Makarova per il Corpo di Ballo scaligero (coreografia rappresentata fino al 2008). Nell’ultima edizione del 2018 sono stati ospitati i ballerini del Bolshoi di Mosca capitanati dalla coppia Kovalëva-Tissi con la coreografia di Yuri Grigorovich.

La storia è praticamente inesistente e protagonista è la danza. Solor giura amore eterno a Nikiya bajadera del tempio, ma è costretto a sposare Gamzatti che avvelena la rivale; nell’ultimo atto Solor, annebbiato dai fumi dell’oppio, si ricongiunge a Nikiya nel regno delle ombre.

La replica del 18 giugno era un Invito alla Scala per giovani e Anziani. Sebbene non sia il primo cast, lo spettacolo è sicuramente di ottimo livello.

Nikija è stata interpretata da Alice Mariani. Ottima danzatrice, ma con qualche incertezza più sua che nostra. Nel primo atto ha mostrato linee pulite, anche se un po’ fredde e poco passionali. Nei passi è stata precisa e pulita mettendo in evidenza anche un’apprezzabile presenza scenica. Nella variazione del secondo atto, i suoi piedi, che dovrebbero infilzarsi come coltelli lanciati sul pavimento almeno con l’intenzione di uccidere la rivale e per difendere la promessa d’amore fattale da Solor, sembrano esitare onde poi soccombere sotto l’astuzia di Gamzatti.

Timofej Andrijashenko ha indossato gli abiti aristocratici dal primo all’ultimo atto e la sua fisicità elegante è perfetta per il ruolo interpretato. Nonostante le lunghissime leve, Andrijashenko ha un magnifico lavoro di batteria nei piedi e nelle gambe che è stato un crescendo in tutto lo spettacolo. Notevole la sua tecnica in tutte le variazioni, in particolare quella del secondo atto. La caduta alla fine della variazione del terzo atto ha tenuto tutti col fiato sospeso per qualche secondo finché non lo abbiamo visto rialzarsi. Si sa che la carriera di tutti i ballerini è appesa ad un filo per eventi come questo che non sono infrequenti e ci auguriamo che l’infortunio non lasci strascichi.

Linda Giubellini ha ben sostenuto la parte di Gamzatti: sorridente e con un’ottima tecnica di giri.

Darius Gramada ha danzato nel ruolo dell’Idolo d’Oro con sicurezza e convinzione.

La danza dei tamburi ha offerto momenti di grande vitalità e vigore: in particolare i solisti, Denise Gazzo e Frank Aduca hanno dimostrato energia da vendere.

Insieme a Nikiya, Gamzatti e Solor, a partire del secondo atto il Corpo di Ballo è il vero protagonista di Bayadère. Le coreografie di Nureyev delle danze dei ventagli e dei pappagalli sono sempre di grande impatto visivo, anche se nell’insieme si è notata qualche sbavatura soprattutto nel gestire gli oggetti di scena. Anche nelle danze in coppia o nei pas de quatre le diverse fisicità delle danzatrici davano talvolta l’impressione di minore coordinazione di quanto in realtà effettivamente fosse. Il Regno delle ombre è stato un momento di lirismo allo stato puro. Tutte le ragazze hanno dato il massimo e non solo il serpente iniziale è stato perfetto, ma anche ogni pezzo danzato tra le variazioni soliste e il passo a due: braccia con le stesse linee, gambe alla stessa altezza, teste girate nella stessa direzione, sincronismo totale come solo i grandi corpi di ballo sono in grado di fare .

Belle tutte e tre le interpreti delle variazioni del regno delle ombre. Letizia Masini ha linee lunghissime, developpes alla seconda tenuti con estrema sicurezza e discese morbide dagli arabesques che evidenziano una tecnica solidissima. Caterina Bianchi ha una apprezzabile elevazione e un pregevole lavoro di batteria. Gaia Andreanò ha una buna forza nelle punte e bellissimi giri finiti en l’air.

I costumi disegnati da Luisa Spinatelli, pur non mancando di opulenza, non hanno appagato del tutto la vista perché dal punto di vista cromatico rispecchiano poco i colori sgargianti dell’India dove anche la parte più povera della popolazione indossa tinte cariche come il fuxia, il bluette, il rosso, il verde smeraldo, l’arancione e così via. I toni dei rosa e dei verdi utilizzati erano poco più carichi delle nuance pastello e le sovra gonne ricamate in oro coprivano integralmente le poche stoffe dalle tonalità decise. Innegabilmente modeste le scenografie in particolare quella del primo atto; presumibilmente questo è uno di quei casi in cui sarebbe stato quasi preferibile proiettare i fondali. Gradevole e in stile l’elefante.

Sul podio il Maestro Kevin Rhodes che ha diretto in maniera superba l’orchestra del Teatro alla Scala. La sua bacchetta vivace ed elegante ha saputo far riviere la musica senza tempo di Minkus nell’orchestrazione occidentale di John Lanchbery.

Milano, 18 giugno 2024

Sonia Baccinelli