Juraj Valchua ha diretto i complessi romani in un concerto memorabile, complice la pianista Lise de la Salle
Per circa 200 anni Vienna è stata la capitale della musica ed in questo periodo ha attratto verso di se compositori da ogni parte d’Europa, tra i quali il tedesco Beethoven e il boemo Mahler, ed è su questi due nomi che si è dipanato il programma del concerto che ha visto protagonista un’Orchestra di Santa Cecilia in piena forma all’interno della rassegna settembrina dell’Accademia Filarmonica.
Accompagnata alla tastiera dalla giovane pianista normanna Lise de la Salle e diretta da un ispirato Jurai Valchua, la formazione romana ha aperto con una affascinante interpretazione del terzo concerto per pianoforte e orchestra di Ludwig Van Beethoven.
Pagina importante, poiché segna il passaggio tra la l’approccio di stile mozartiano a questa forma, cui in parte ancora appartengono i primi due concerti beethoveniani, e la concezione romantica che, con il quarto e il quinto, aprirà la strada ai compositori che seguiranno. Per questo motivo è sempre difficile ascoltare un’interpretazione che o non propenda verso un classicismo di maniera oppure non sia sovraccarica di un romanticismo corrusco e forzato.
La perfetta intesa tra direttore e solista ci ha invece regalato una lettura estremamente equilibrata, dai tratti apollinei che, pur esaltandone la struttura non si è limitata ad una mera “illustrazione” della partitura, ma, giocando sulle dinamiche e sulla luminosità del suono, ne ha pienamente colto l’essenza.
Se applausi calorosi ed un preludio di Debussy offerto come bis dalla brava pianista hanno concluso una prima parte estremamente convincente, vere e proprie ovazioni sono state quelle che il pubblico ha regalato nella seconda al termine dell’esecuzione della prima sinfonia “Titano” di Gustav Mahler.
Juraj Valchua, nonostante la giovane età, si è confermato concertatore maturo ed ispirato nell’affrontare la partitura del suo conterraneo.
L’Orchestra, che ancora una volta non ha mancato di sottolineare quale sia il suo straordinario valore, si è mostrata estremamente duttile e ricettiva nell’assecondare le indicazioni che giungevano dal podio.
Ad un primo movimento dal tono estroverso, luminoso, ha fatto seguito uno scherzo energico e dal sapore allegramente popolare. Abbiamo quindi ascoltato una marcia funebre ironica nella sua seriosità ed un quarto movimento dai colori scintillanti; il tutto racchiuso in una lettura perfettamente coerente e misurata.
Ultimo regalo uno struggente intermezzo dalla Manon Lescaut di Puccini ha chiuso una serata destinata a rimanere negli annali del Settembre dell’Accademia.
Davide Cornacchione 21/09/2015