Recensioni - Cultura e musica

Bentornati Masnadieri

Vivo successo per la ripresa del titolo verdiano a Busseto.

Da alcuni anni il Teatro Regio di Parma attua la politica di riprendere a primavera nel corso della normale stagione d’opera lo spettacolo prodotto con i vincitori del Concorso Internazionale di Voci Verdiane durante il precedente festival verdiano. Tra i tanti meriti di questa iniziativa vi sono senza dubbio quello di poter usufruire di quel piccolo gioiello del Teatro Verdi di Busseto, dando allo stesso tempo la possibilità ai giovani interpreti di confrontarsi ulteriormente con il pubblico.
Se poi lo spettacolo è particolarmente riuscito come nel caso dei Masnadieri dell’ottobre scorso la scelta si rivela pienamente vincente.

 

L’allestimento presentato è quello diretto da Leo Muscato che aveva debuttato al Regio nel 2013 e che non ha minimamente risentito del suo ridimensionamento per il più piccolo palcoscenico bussetano. Le suggestive scene di Federica Parolini mantengono intatta la loro efficacia grazie anche alle sapienti luci di Alessandro Verazzi che esaltano le atmosfere cupe e corrusche che caratterizzano la partitura.
Quinte materiche, un pavimento sconnesso che deborda fin sul golfo mistico e rami che calano dall’alto caratterizzano con efficace semplicità una realtà in disfacimento, sia che si tratti della foresta che delle tetre stanze del castello dei Moor. I pochi arredi scenici fanno da contorno a questo dramma in cui i personaggi non comunicano, ma vivono di malintesi da cui sfociano gesti estremi e violenti che raggiungono l’apice nel tragico e potente finale.
Muscato gestisce ottimamente il materiale a disposizione lavorando in modo sapiente sui cantanti che si dimostrano a loro agio nei rispettivi personaggi.

 

L’avere poi un direttore che non guarda a questa partitura con l’approccio snob che spesso si rivolge al “Verdi minore” ma che al contrario dimostra di crederci pienamente ha costituito un ulteriore tassello al successo della produzione. Il giovane Simon Krecic, alla testa dell’Orchestra dell’Opera Italiana, ha impresso il giusto ritmo alla narrazione, staccando tempi sostenuti e puntando su sonorità energiche, senza però mai rinunciare a sostenere ed accompagnare le voci.

Più che adeguato il cast, su cui spiccava l’Amalia di Marta Torbidoni; dotata di un bel timbro lirico la soprano si è distinta sia per l’espressività del fraseggio che per la disinvoltura nelle agilità.  Giovanni Maria Palmia è stato un Carlo dalla voce molto ben impostata che spiccava nei momenti lirici pur mostrando qualche difficoltà nei passaggi più eroici. Voice importante e bella linea di canto hanno caratterizzato il Francesco di Leon Kim mentre George Andgulaze è stato un Massimiliano dal timbro morbido e robusto, disinvolto nei centri e nell’acuto, ma non sempre timbratissimo nel registro più grave.
Buone le prove del Moser di Wellington de Santana Moura, del Rolla di Jangmin Kong e dell’ Arminio di Manuel Rodriguez Remiro, nonostante la voce un po’ leggera di quest’ultimo.
Vivo successo da parte di un pubblico in cui spiccava un’importante presenza di stranieri, a dimostrazione del crescente interesse internazionale nei confronti della realtà musicale parmense.

Davide Cornacchione 29 aprile 2017