Recensioni - Cultura e musica

Bohéme di giovani in bianco e nero

I vincitori del concorso dell’“Istituto Internazionale per l’Opera e la Poesia” in scena al Filarmonico

Per il secondo anno consecutivo la Fondazione Arena ha permesso ai vincitori del  Concorso Internazionale di Canto dell’“Istituto Internazionale per l’Opera e la Poesia” di debuttare in una delle produzioni della stagione invernale al Teatro Filarmonico e, dopo la Turandot della scorsa stagione, anche in quest'occasione la scelta è caduta su un titolo pucciniano: Bohéme.
I giovani interpreti hanno quindi avuto modo di confrontarsi con un allestimento ormai consolidato, ovvero quello curato per Bassano Opera Festival da Ivan Stefanutti nella triplice veste di regista, scenografo e costumista, che nello scorso autunno è stato presentato anche nei teatri del circuito lombardo.
 

Va detto subito che si è trattato di uno spettacolo visivamente molto bello e di grande suggestione. La scelta del regista è stata quella di ambientare la vicenda nella Parigi di inizio secolo; quella Parigi in cui si stava affermando il cinema di grandi autori quali Carné, Vigo e Renoir, ed è proprio al loro cinema cui si è fatto riferimento nelle scelte stilistiche. Questa Bohème è stata infatti giocata tutta sulle tonalità del grigio, quasi ci trovassimo all'interno di una pellicola d'epoca in bianco e nero. Anche i palloncini di Perpignol ed il pane dell'ascetico pasto del quarto atto erano grigi, ma tutto questo non ha costituito mai sinonimo di "grigiore" nello spirito dello spettacolo. Basti infatti pensare al bellissimo quadro del Quartiere Latino, che visivamente ricordava certi esterni di "Les enfants du paradis" o alla Barriera d'Enfer che sembrava uscita dal "Porto delle nebbie".
La regia, tutto sommato tradizionale, ma improntata su soluzioni  che andavano in direzione di una grande vitalità, ha permesso uno svolgimento fluido della vicenda, nonostante i giovani protagonisti mostrassero qualche impaccio e qualche rigidità e le scene di massa fossero risolte in modo un po' convenzionale. Unica nota dolente i tempi eccessivi per i cambi scena che, in un capolavoro di sintesi come Bohème, ne hanno quasi raddoppiato la durata complessiva, con il risultato che ad ogni intervallo aumentavano le sedie vuote in una platea già di suo non gremitissima.
Dal punto di vista musicale il risultato è stato nel complesso apprezzabile. Alla testa dell'orchestra dell'Arena c'era il ventiduenne Andrea Battistoni, che ha diretto con mano sicura, avendo sempre perfettamente presente il senso della narrazione, anche se la sua concertazione è mancata un po' di scavo, ed i volumi sonori non erano tutti perfettamente calibrati, al punto che in più occasioni i cantanti venivano coperti dall'orchestra.
Youngwoo Kim è stato un Rodolfo dalla voce squillante anche se con qualche rigidità negli acuti, affiancato dalla puntuale Mimì di Kishani Jayasinghe. Convincente e ben timbrato è stato il Marcello di Valdis Jansons ed altrettanto si può dire della Musetta di Agnieszka Adamczak. Il gruppo dei Bohémiens era completato dallo Schaunard di Szymon Komasa e dal Colline Aleksandar Stefanoski.
La ribalta finale è stata accolta da applausi convinti da parte di un teatro che, come purtroppo si sta verificando frequentemente nel corso di questa stagione, era pieno solo per metà.

Davide Cornacchione 26 gennaio 2010