Emma Dante e Serena Sinigaglia firmano le regie del dittico verista che chiude la stagione del Teatro Comunale
Capolavori del verismo italiano, unici due titoli di quel periodo ad essere rimasti stabilmente in repertorio, Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni e Pagliacci di Ruggero Leoncavallo vengono spesso abbinati in un’unica serata, sia per la loro brevità, sia per le analogie nelle rispettive trame, che accomunano passione, tradimento e omicidio. A chiusura della stagione 2019 il Teatro Comunale di Bologna ha proposto questo dittico nel quale alla ripresa di Cavalleria fermata da Emma Dante è stata affiancata una nuova produzione di Pagliacci con la regia di Serena Sinigaglia.
Nella sua cavalleria rusticana Emma Dante più che alla Pasqua, giorno in cui la vicenda è ambientata, si ispira al Venerdì Santo, accomunando la passione di Maria quella di Mamma Lucia, entrambe al capezzale del figlio morto. All’interno di una scenografia essenziale, firmata da Carmine Maringola, in cui il nero è il colore dominante, ravvivato solo da ventagli colorati nelle scene di festa, gli avvenimenti principali vengono contrappuntati dalla riproposizione della Via Crucis, che prelude fin dall’inizio al finale di morte e dolore. Se dal punto di vista visivo le immagini, per quanto stilizzate, hanno una loro forza e vi sono momenti di grande suggestione -molto belli quegli squarci di sicilianità resi dal semplice gioco dei balconi che si spostano o dalle ballerine che, addobbate come cavalli, trainano il carretto di Alfio- quello che forse manca In questa lettura è il clima di festa che è presente in partitura ma che viene sacrificato in favore di una dimensione di tragedia incombente.
Dal punto di vista musicale la rappresentazione è caratterizzata dalla direzione sostanzialmente povera di colori di Frédéric Chaslin che spinge sul volume, appiattendo le dinamiche e costringendo in più occasioni i cantanti a forzare per non essere coperti. Veronica Simeoni è una Santuzza dal bel registro centrale, curata nel fraseggio e credibile nell’interpretazione ma con qualche difficoltà negli acuti, spesso tesi. Al suo fianco Roberto Aronica è un Turiddu spavaldo, che compensa un fraseggio un po’ ruvido con una buona linea di canto ed un’emissione sicura. Positive le prove di Alessia Nadin, una Lola dalla bella presenza scenica ed efficace nella sua aria e Agostina Smimmero, Mamma Lucia dal timbro scuro e corposo, mentre Dalibor Jenis, al contrario, è un Alfio dalla voce imponente ma non sempre rifinito nell’interpretazione.
Più a fuoco, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto musicale, è sembrato l’allestimento di Pagliacci. Introdotto da una scena mimica a palcoscenico vuoto, nella quale una regista ed alcune maestranze allestiscono la scenografia firmata da Maria Spazzi, accentuando la dimensione metateatrale dell’opera, lo spettacolo procede poi in modo sostanzialmente tradizionale. Un palcoscenico che ricorda un ring di boxe, allestito in mezzo ad un campo di grano ravvivato da alcuni papaveri, è lo spazio all’interno del quale si dipana la vicenda, cui partecipa anche un gruppo di veri saltimbanchi. Suggestiva la dimensione rurale che si respira durante l’aria “Vesti la giubba”, durante la quale un gruppo di contadini falcia le spighe. Rimane la perplessità nel finale, durante il quale l’aspetto metateatrale non viene recuperato, anzi, la frase finale “La commedia è finita” è pronunciata da Canio anziché Tonio -come prescriverebbe la partitura- lasciando in sospeso ciò che era stato anticipato nel prologo.
Dopo l’interlocutoria Cavalleria Frédéric Chaslin è sembrato più a suo agio con lo spartito di Leoncavallo al quale dedica una lettura articolata e più ricca di dinamiche nella quale si è maggiormente distinta anche l’orchestra del Teatro Comunale. Lo stesso dicasi per Dalibor Jenis, l’unico cantante impegnato in entrambi i titoli, che nel ruolo di Tonio si è dimostrato più convincente.
Carmela Remigio è cantante eclettica che vanta un timbro solido ed un ricco fraseggio, nonostante la sua Nedda necessiti di un volume più ampio e di maggiore incisività in alcuni passaggi, mentre Stefano La Colla è un Canio dal bel timbro lirico, sicuro nell’emissione e svettante negli acuti. Paolo Antognetti è un Beppe musicalissimo che regala un’aria di Arlecchino da applausi. Corretto Vittorio Prato nel ruolo di Silvio.
Ottima la prova del Coro del Teatro Comunale diretto da Alberto Malazzi e caloroissima la risposta del pubblico che ha tributato a tutti gli interpreti applausi convinti.