Recensioni - Cultura e musica

Bologna: all’Arena del Sole splende Lazarus, il musical-testamento di David Bowie

La nuova produzione firmata da Valter Malosti per Emilia Romagna Teatro

L’Arena del Sole di Bologna ha ospitato fino allo scorso 30 aprile, con una serie di appuntamenti a corollario, Lazarus, il musical considerato l’opera-testamento, con l’album Blackstar, di David Bowie. L’opera è approdata sulle scene italiane a distanza di otto anni dal debutto avvenuto a New York pochi giorni prima della scomparsa dell’artista britannico, morto il 10 gennaio 2016, in uno spettacolo originale diretto da Valter Malosti in una produzione imponente firmata Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale realizzata in esclusiva per il nostro Paese in collaborazione con Teatro Stabile di Torino, Teatro di Napoli, Teatro di Roma e al LAC-Lugano Arte e Cultura. Ispirato all’opera scritta dal Duca Bianco con il drammaturgo irlandese Enda Walsh, il musical, in una sorta di circolo narrativo, rappresenta il sequel del romanzo di Walter Tevis tanto amato da Bowie, The Man Who Fell to Earth di cui interpretò il protagonista alieno Newton nel 1976 nel celebre film cult diretto da Nicolas Roeg.

A ricoprire il ruolo di Thomas Jerome Newton e a cantare con maestria su arrangiamenti originali buona parte delle canzoni scritte da Bowie (nella scaletta sono 17, compresi 4 inediti scritti appositamente per lo spettacolo, tra i quali il capolavoro Lazarus) è stato chiamato il leader degli Afterhours Manuel Agnelli; con lui Casadilego, vincitrice nel 2020 del programma X-Factor, che veste i panni di una ragazza sospesa tra la vita e la morte che gli appare in sogno come Marley; la coreografa Michela Lucenti danza e canta il personaggio dell’assistente di Newton, Elly, perdutamente innamorata di lui; Dario Battaglia è Valentine, figura enigmatica e ambigua portatrice sana di violenza. Con loro, Attilio Caffarena è lo scienziato Michael; Maurizio Camilli è il marito-casalingo di Elly; Noemi Grasso, Maria Lombardo e Giulia Mazzarino danzano e cantano a metà tra sirene e simulacri, o anche fatine di Pinocchio dai lunghi capelli blu impegnate in movenze sciamaniche; Camilla Nigro porta in scena con abito e movenze un tocco dell’Oriente amato da Bowie e Isacco Venturini interpreta Ben, il doppio di Newton. Collocati con i loro strumenti ai lati del palco, su due gradinate, a fare da ala all’arena dove si svolge l’azione, gli ottimi musicisti: Laura Agnusdei, Jacopo Battaglia, Ramon Moro, Amedeo Perri, Giacomo “ROST” Rossetti, Stefano Pilia e Paolo Spaccamonti.

La scena, curata da Nicolas Bovey, proietta lo spettatore nell’appartamento del protagonista collocato nell’East Village della Grande Mela, in un interno onirico dove regnano le installazioni video (di Luca Brinchi e Daniele Spanò) proiettate in omaggio al romanzo di Tavis su diversi schermi tra cui uno gigante, dove a tratti fra filmati d’epoca — il primo inquadra il grande Elvis Presley — compare e danza lontana la donna amata di Newton, Mary Lou. Su una pedana mobile circolare sono collocati un divano, uno scrittoio-pianola e un tavolino sormontato da un teschio che ricorda un po’ Amleto un po’ il videoclip di Blackstar. A lato, inclinato, sta un armadio-razzo che imita gli ascensori pericolosi presenti nel romanzo ma che ricorda una bara. A un certo punto apparirà anche una pista-cubo da discoteca, dove accadrà che le parole di una storia d’amore saranno rubate in un momento di festa dal rapace Valentine, che ucciderà subito dopo il malcapitato innamorato.

Appropriata la scelta di costumi, materiali e luci, a cura di Cesare Accetta, che contribuiscono ad esaltare l’aspetto visionario e vagamente allucinato del racconto. Agnelli-Newton, indosso una vestaglia rossa, guarda i video, beve abbattuto il suo gin e affronta a viso aperto fantasmi e sogni che gli martoriano la mente. A turno sugli schermi compariranno occhi indagatori, voli di rapace, frame reinterpretati di film inquietanti. Newton si nutre di merendine, si trattasse di fialette di sangue parrebbe più appropriato, tanto ricorda più che l’alieno etereo di Anthea l’affascinante Dracula di Bram Stoker. I personaggi protagonisti del romanzo e del film, che raccontano la storia de L’Uomo che cadde sulla Terra, intrecciano le loro storie con quelli che da sempre abitano le canzoni del repertorio di Bowie. Il fluire dell’azione procede a frammenti, per fraseggi che si accavallano tra loro come disturbati da un brusio da fine delle trasmissioni che incombe, sempre guidati dalla musica e dalle parole dei testi. I temi tanto cari a Bowie dell’alienazione, del doppio, e poi le psicosi indotte dai media, l’orrore del mondo, la morte e la rinascita attraverso l’arte sfilano e avanzano a spirale rappresentati con diversi linguaggi, in omaggio alla concezione di spettacolo come arte totale che aveva l’artista fin dagli esordi, ormai leggendari, della sua carriera stellare. Il Major Tom di Space Oddity, Ziggy Stardust, ma non solo, anche Lindsay Kemp, e poi Kate Bush, persone reali che gli furono vicine e poi personaggi d’ideazione, compresi quelli che l’artista ci ha presentato attraverso i suoi video, sono evocati in vari momenti nel corso del musical.

Nella drammaturgia si avverte forte il desiderio di un altrove; oltre a quello di un migrante disilluso in viaggio tra i pianeti si intravede il sogno di un uomo che alla fine dell’esistenza anela un ritorno verso le stelle, trasfigurato nello spazio come nel romanzo di Tavis, o rappresentato dall’uccellino azzurro che insegue la libertà in Lazarus. Ma la speranza diventa utopia, resa impossibile dai limiti del mondo e della stessa umanità, di cui è più emblema il “Dirty Boy” Valentine, che sa vendersi e vendere tutto senza scrupoli. L’estrema solitudine di Newton è mitigata solo da una ragazza-sogno, tanto deve farsi bastare. Ma c’è la musica, e c’è l’arte, e allora ad accompagnare il racconto scorrono cantate da Agnelli, con la sua timbrica caratteristica che in molti passi ricalca quella di Bowie, brani-capolavoro come The Man who sold the World, Absolute Beginners, una struggente Heroes; Casadilego (Elisa Coclite) è fine interprete tra le altre di Life on Mars e This is not America; Michela Lucenti fa sua Changes, tutte canzoni iconiche del Duca Bianco che riscuotono applausi e che commuovono. Anche Dario Battaglia si rivela un capace interprete sia dei brani che gli sono affidati sia del personaggio nero, ricco di sfaccettature, che impersona.

È la musica alla guida di Lazarus, spettacolo costruito come un’opera rock che rivela un’architettura in bilico tra fantascienza, poesia, esistenzialismo e sonorità raffinate. Le incursioni del testo proposte a teatro nella versione italiana di Valter Malosti contribuiscono ad accentuarne i tratti in parte distopici. Riguardo ai protagonisti arruolati dal mondo della musica: Manuel Agnelli sfodera le sue doti di frontman con disinvoltura e padronanza nelle parti cantate; non imita Bowie, rende un bell’omaggio pieno di conoscenza e di rispetto al grande artista e alla sua opera, lo fa anche affrontando con impegno le parte attoriale. La giovane Casadilego esegue con voce limpida e con grazia, in parte alla tastiera, i capolavori di Bowie (un paio canzoni che dovrebbero far tremare i polsi) e dà vita alla “ragazza morente” con semplicità e naturalezza.

L’esecuzione di alcuni brani celebri è proposta da musicisti e cantanti in modo inedito e con esiti notevoli, a conferma dell’intenzione di non proporne una mera esecuzione celebrativa, ma di rendere omaggio con la vitalità che merita all’opera di David Bowie.
Caldi applausi, dal pubblico che ha riempito il teatro.