
Interessante proposta multidisciplinare di Tero Saarinen e Kaija Saariaho
Debutta in prima austriaca alla Werkstattbühne, il terzo grande palcoscenico del Festspielhaus di Bregenz, lo spettacolo multidisciplinare Study for Life ideato da Tero Saarinen e Kaija Saariaho.
Si tratta della rielaborazione di un lavoro già presentato dagli autori nel 1980 e nel 2019, ma frutto di continue modifiche e ripensamenti e che giunge in una nuova versione al Festival di Bregenz. Il concetto e la coreografia sono di Tero Saarinen, le musiche di Kaija Saariaho, il concetto scenico di Erika Turunen, Fabiana Piccioli e Sander Loonen; i costumi di Erika Turunen, le luci di Fabiana Piccioli e Sander Loonen, il suono spaziale di Tuomas Norvio.
Raquel Camarinha è il soprano in scena. I musicisti fanno parte della compagnia Asko|Schönberg, mentre i danzatori sono della compagnia Tero Saarinen Company.
Come si vede dalla distribuzione si tratta di un lavoro di gruppo, che mescola molte competenze e compagnie diverse, il cui focus è lavorare sulla danza e sulla musica sperimentale.
Infatti la proposta mescola musica, arte visuale e coreografia in una grande arena nera, densa di caligine, dove il pubblico circonda interamente uno spazio scenico rettangolare che all’inizio si presenta vuoto.
I danzatori e i musicisti, che si prestano anche alle coreografie di gruppo, entrano in diagonale e giocano con la musica, le luci e i suoni, in una sorta di contact dance che pare a tratti un’evoluzione delle sperimentazioni novecentesche di Alwin Nikolais.
Lo spettacolo non è danza vera e propria ma un connubio altamente tecnologico fra musica, canto, contact, movimento e luci. Queste ultime giocano una grande parte nel creare l’atmosfera e sono perfette e millimetriche. Alla danza si aggiungono i pezzi musicali di Kaija Saariaho ottimamente interpretati dal soprano Raquel Camarinha, che dona allo spettacolo una sua presenza magnetica fatta di movimenti ieratici e studiati.
Il gioco si dipana lento, per episodi conseguenti e senza soluzione di continuità. Termina con un finale in cui entrano vari strumenti su supporti mobili, dai violini ai violoncelli, fino ad un’arpa e un pianoforte. Dall’alto cala lentamente un telo che richiama un nido o un utero materno, quest’ultimo va a inglobare la cantante.
L’effetto generale è sicuramente magnetico e coinvolgente, in particolare per le luci e l’accuratissima sonorità spaziale, con suoni che giungono da ogni dove, immergendo il pubblico in un ambiente percettivo affascinante. Si percepisce un certo gusto nordico nell’impostazione, a tratti severa, dei movimenti e dei passaggi. Certo l’operazione manca di un vero e proprio climax e tende a dipanarsi in modo troppo uniforme e cerebrale, risultando a alla lunga ripetitiva e non sempre efficace. La drammaturgia poi è assolutamente evanescente, rasenta il sospetto dell’improvvisazione e non convince fino in fondo.
La sala era quasi esaurita, il pubblico ha seguito con attenzione. Applausi di cortesia nel finale.
Raffaello Malesci (Mercoledì 30 Luglio 2025)