I due musicisti accompagnati dall’Accademia di Santa Cecilia nel concerto più atteso del Settembre dell’Accademia.
Dvorak e Beethoven bussano alla porta del quinto concerto del Settembre dell’Accademia, e ad aprire loro le porte del Filarmonico sono L’orchestra di Santa Cecilia guidata dal suo direttore musicale Antonio Pappano ed accompagnata dal violoncellista Mario Brunello.
Concerto per violoncello e orchestra del primo e Quinta sinfonia del secondo costituiscono un programma classico “che più classico non si può”, ma se i classici vengono considerati tali è proprio per la loro ciclica riproposizione in virtù della loro continua attualità. E allora che classico sia.
Nel concerto per violoncello e orchestra di Dvorak Brunello riesce a far emergere le sue capacità di superlativo interprete. Il suono è sempre calibratissimo ed anche in una sala vasta ed acusticamente non felice quale il Filarmonico, nessuna delle innumerevoli sfumature viene persa. Alle decise sonorità del primo movimento segue la delicata introspezione del secondo che si risolve nella spavalda irruenza del finale.
In tutto questo il dialogo con l’orchestra è costante. Pappano asseconda e modella in funzione del solista le sonorità di una compagine al suo meglio: morbidi gli archi, caldi i legni, scintillanti e senza sbavature gli ottoni. Santa Cecilia può vantare da tempo il titolo di migliore delle formazioni sinfoniche italiane, ma il sodalizio con Pappano ne sta sempre di più aumentando il prestigio europeo ed internazionale.
Al termine l’entusiasmo del pubblico viene ricambiato da Brunello con due bis: il preludio della prima Suite di Bach ed un brano di sapore jazzistico.
All’inizio della seconda parte a bussare alla porta è invece il destino, sottoforma delle quattro note che costituiscono il tema portante della Quinta di Beethoven.
L’attacco di Pappano però è molto meno incisivo e drammatico di quanto normalmente siamo abituati ad ascoltare; questo perché la sua lettura tende a risolvere tutto nel quarto movimento. Nella concezione positivista ed estroversa del direttore londinese, i primi tre movimenti sembrano quasi la preparazione di quella che sarà l’apoteosi liberatoria del finale.
Un’interpretazione indubbiamente inusuale che non nego all’inizio mi abbia suscitato qualche perplessità, ma che, una volta capita ed accettata, si è rivelata assolutamente trascinante, complice anche la perfetta risposta dell’Orchestra. Nonostante l’interesse risieda pel l’appunto nel finale, ogni movimento precedente non viene minimamente trascurato ma è al contrario cesellato alla perfezione, permettendo ad ogni singola sezione di fare sfoggio delle proprie abilità.
Trionfale e liberatoria l’ovazione del pubblico, premiata da un doppio bis verdiano e rossiniano che non ha fatto altro che confermare il talento di Pappano anche nel repertorio lirico e lo stato di splendida forma dell’Orchestra di Santa Cecilia.
Davide Cornacchione 22 settembre 2013