Recensioni - Cultura e musica

Cavalleria e Pagliacci al femminile

Il dittico verista a Modena impreziosito dall’ottima prova delle due protagoniste

Alla replica di Cavalleria rusticana e Pagliacci  cui abbiamo assistito, il Teatro Comunale di Modena si presentava con il cartello "tutto esaurito" affisso da giorni e con la biglietteria pacificamente invasa da gente in lista d'attesa per le rinunce. Un'immagine che dovrebbe far riflettere quanti in questo periodo si ostinano a sottrarre risorse alla cultura sostenendone la superfluità.
Questo nuovo allestimento del dittico verista, coprodotto con i teatri di Lucca, Livorno e Pisa, era caratterizzato, secondo le intenzioni del regista Alessio Pizzech, da una particolare attenzione rivolta alle due figure femminili, ovvero Santuzza e Nedda.
 

La scenografia di Cavalleria, firmata da Michele Ricciarini,  era infatti costituita dai ruderi di un paesino della Sicilia, al centro del quale spiccava la casa di Santuzza, da cui lei, nella sua posizione di emarginata, osservava i compaesani prepararsi per la domenica di Pasqua, non uscendone quasi mai. Una soluzione interessante, fortemente simbolica, che però, occupando il palcoscenico fino quasi al proscenio, ha compresso e penalizzato i movimenti delle masse. Il coro infatti, nonostante la sua presenza massiccia soprattutto nella prima parte, è stato spesso e volentieri costretto in spazi limitati e ad ingressi ed uscite abbastanza convenzionali.
Interessante invece la figura femminile, interpretata dall'attrice Elena Croce che, come una sorta di doppio della protagonista, ha indirettamente partecipato alle sue vicende. Da brivido i due "hanno ammazzato compare Turiddu!" con i quali ha concluso l’opera.
Didascalico e posticcio si è rivelato invece l'uso di videoproiezioni che avrebbero dovuto arricchire emotivamente la scena, mentre in realtà si è trattato di una carrellata di immagini (lenzuola, cavalli, bicchieri, la Resurrezione di Piero della Francesca...) che poco o nulla hanno aggiunto.
Dal punto di vista vocale spiccava l'intensa Santuzza di Elena Pankratova, che ha sfoggiato un bellissimo timbro da mezzosoprano, pieno e suadente, secondo la migliore tradizione russa, confermandosi tanto versatile nell'interpretazione quanto disinvolta nella salita al registro acuto.
Javier Palacios, al contrario, avrebbe anche gli acuti per il ruolo di Turiddu, ma il suono nasale ed il timbro sbancato  hanno penalizzato qualunque tentativo di fraseggio, ed anche l'interpretazione non è stata risolta adeguatamente. Anooshah Gorlesorkhi nel ruolo di Alfio, ha esibito voce solida e potente ma avara di sfumature. Funzionale la Mamma Lucia di Irene Bottaro, da dimenticare la Comare Lola di Chiara Mattioli.
Come da tradizione al capolavoro di Pietro Mascagni ha fatto seguito l’altrettanto celebre atto unico di Ruggero Leoncavallo. Titolo dalla drammaturgia più complessa, Pagliacci, richiede interventi registici più marcati rispetto a Cavalleria, ed infatti Pizzech in questo caso ha lavorato su un maggiore dinamismo, sin dall'ingresso dei pagliacci che è avvenuto dalla platea, utilizzata anche in seguito come luogo d'azione.
Gli attori sono entrati con aria dimessa e spaesata; non c'era festa né gioia nel loro arrivo ma, anzi, nei loro volti si leggeva lo straniamento di chi si trova ogni giorno in un luogo diverso.
Nonostante il palcoscenico fosse completamente vuoto, fatta eccezione per due pedane, anche in questo caso i movimenti del coro in tutta  la scena iniziale si sono rilevati abbastanza impacciati ed incapaci di riempire adeguatamente lo spazio.
Più caratterizzata invece la seconda parte, in cui la recita è stata sostenuta dai pagliacci legati a delle corde calate dall'alto che li trasformavano in marionette. Anche in questo caso, tra il pubblico che assisteva allo spettacolo, spiccava la presenza dell'attrice Elena Croce che, come un coro muto, ha vissuto dall'esterno tutta la vicenda, mentre sempre superfluo si è dimostrato l'uso delle videoproiezioni che hanno sottolineato alcuni passaggi salienti.
Venendo agli interpreti, un particolare plauso va tributato alla Nedda di Esther Andaloro: una voce sicura e ben timbrata supportata da eccellenti capacità interpretative. Sicuramente il personaggio meglio definito e più convincente dell'intero cast. La scena d'amore con Silvio, grazie anche alla buona prova di Alessandro Luongo, che ha saputo creare un'ottima intesa con la sua partner, è stato il momento più coinvolgente dell'opera.
Il Canio di Ernesto Grisales era caratterizzato da un'emissione non impeccabile, complice anche un timbro dall'ampio vibrato e dai molti portamenti. Tuttavia il cantante è riuscito a compensare virando  il personaggio in chiave verista e risolvendo in un'interpretazione convincente e di grande presa sul pubblico.
Anooshah Golersorkhi, cui filologicamente è stata assegnata la frase “la commedia è finita”, ha confermato in Tonio la stessa buona tenuta vocale riscontrata in Alfio, ma in questo caso, il maggiore approfondimento psicologico che richiede il personaggio, ne ha accentuato ancora di più i limiti interpretativi.
Alla testa dell'Orchestra e Coro della Toscana, Jonathan Webb ha condotto ambedue le partiture senza concedersi troppi preziosismi, ma mantenendo sempre saldo il filo della narrazione.
Al termine applausi convinti per tutti da parte di un teatro gremito in ogni ordine di posti.

Davide Cornacchione 6 febbraio 2011