Recensioni - Cultura e musica

Chéri

Ironico e distaccato, intriso di malinconia, fra il trascorrere del tempo e l’illusione della bellezza.

un film di Stephen Frears
con Michelle Pfeiffer, Kathy Bates, Rupert Friend, Felicity Jones, Frances Tomelty, Anita Pallenberg, Harriet Walter, Iben Hjejle, Toby Kebbell, Rollo Weeks.
Prodotto in Francia, Germania, Gran Bretagna. 2009
Durata: 100 minuti.
Distribuito in Italia da 01 Distribution

Dopo un’estate cinematograficamente arida come il deserto, che ha portato i cinefili all’agonia, finalmente si vede qualcosa che appaga occhi e intelletto.
Il regista inglese Stephen Frears, che ha al suo attivo film come The queen, Piccoli affari sporchi e Le relazioni pericolose, rivede la Parigi della Belle Epoque dei primi del novecento attraverso lo sguardo letterario di Colette, scrittrice che sa coniugare femminismo ed erotismo con stile ed eleganza. Lea, cortigiana esperta, ormai cinquantenne, a cui Michelle Pfeiffer dona il suo intramontabile fascino e la sua intensa espressività ( un corpo ed uno sguardo che bucano lo schermo) intreccia una relazione con un giovane chiamato Cheri, un efebico e credibile Rupert Friend, figlio di un’anziana cortigiana, madame Peloux, resa con grande efficacia dalla grande Kathy Bates.
In mezzo ad un ambiente sociale tanto splendido esteticamente (meriterebbe l’Oscar per i costumi, e sia fotografia che colonna sonora sono ottime) quanto squallido interiormente, i due amanti si innamorano, ma la madre del ragazzo ha in serbo per lui una giovane ed inesperta moglie che possa darle dei nipoti. Lui obbedirà, ma sentirà per sempre il richiamo di un amore tanto intenso e fragile nello stesso tempo, fino all’amarissimo finale, raccontato da una mai invadente voce fuori campo…quando si dice il dono della sobrietà! Penso infatti a certe voci fuori campo che prendono possesso del film e lo soffocano.
Frears fa vedere molto bene ciò che si nasconde dietro un mondo così fatuo e dorato, che è in realtà solo grottesco e vuoto, mentre dietro lo sguardo triste di Lea si consuma la sublime e tragica essenzialità dell’amore che non si può realizzare, perché è troppo forte, perché è troppo tardi, o perché, forse, questa è la natura stessa dell’amore. Un amore a cui gli amplessi accennati e sensuali del film donano solo dolcezza e che fanno pensare al famoso detto latino “post coitum omne animal triste”.   

Elena Bettinetti