Recensioni - Cultura e musica

Classici con passione

Programma rischioso ed abbastanza inusuale quello scelto dal giovane pianista londinese Freddy Kempf per il suo debutto a Verona n...

Programma rischioso ed abbastanza inusuale quello scelto dal giovane pianista londinese Freddy Kempf per il suo debutto a Verona nella rassegna del Settembre dell’Accademia. È infatti poco frequente che un interprete si esibisca in una selezione in cui tutti i brani eseguiti rientrino nella lista dei grandi capolavori del pianismo romantico, nello specifico Beethoven e Chopin, rinunciando a priori alla riscoperta di qualche composizione meno nota. Infatti una scelta di questo genere avrebbe potuto rendere più facile il confronto con altre celebri esecuzioni, anche se, come si sentiva dire nel foyer, certe composizioni sono ormai talmente famose che paradossalmente si ha modo di ascoltarle assai di rado dal vivo.
Ad ogni modo Kempf si è dimostrato un interprete di sicuro talento, dotato di solide basi tecniche che hanno supportato interessanti intuizioni, anche se, per potersi definire realmente completo, dovrà ancora smussare alcune asperità suggerite da una certa giovanile irruenza.
La prima parte, dedicata a Beethoven, si è aperta con uno dei suoi capolavori giovanili, ovvero la Sonata op. 13 “Patetica”. Prendendo alla lettera il reale significato della denominazione scelta dall’autore, ovvero di “provocare pathos” Kempf ha optato per un’interpretazione marcatamente chiaroscurata, in cui a passaggi estremamente veloci e dinamici si contrapponevano momenti più elegiaci mediante cambi di tensione abbastanza repentini. Ad un primo movimento dai forti contrasti, al quale però è forse mancata una visione d’insieme che ne cogliesse fino in fondo la complessità, sono seguiti un adagio cantabile abbastanza sostenuto ed un rondò teso e nervoso, meno rassicurante di quanto una certa tradizione interpretativa ci abbia abituati ad ascoltare.
Discorso analogo per la Sonata op. 57, “Appassionata” giocata anch’essa su tempi rapidissimi e sull’accentuazione dei contrasti: una lettura marcatamente agogica, soprattutto nel primo tempo, con sonorità quasi sinistre, ed un “presto” vertiginoso, hanno contribuito a delineare un’interpretazione forse un po’ spigolosa ma di grande intensità.
La seconda parte, dedicata invece al genio di Fryderyk Chopin si è aperta con la Ballata n.1. Ad un attacco forse ancora un po’ brusco ha fatto seguito una lettura di grande espressività, supportata da una tecnica di prim’ordine. La tavolozza cromatica del compositore polacco ha qui avuto modo di rivelarsi in tutta la sua varietà grazie alla ricchezza di accenti impressa da Kempf sia in questa composizione che nella successiva Sonata per pianoforte n. 3. Qui il pianista londinese ha dimostrato un’eccellente padronanza del brano e di tutte le sue componenti dinamiche: dopo aver ancora una volta giocato con i contrasti si è esibito in un “largo” di grande lirismo e cantabilità in cui ha dato prova di possedere un perfetto controllo di mezze tinte e sfumature.
Ancora Chopin nei bis che si sono conclusi con un coinvolgente finale dei Quadri di un’esposizione di Moussorgskij, ovvero Baba Yaga e La Grande porta di Kiev, da cui è emersa la definitiva conferma della marcata personalità del giovane artista.

Davide Cornacchione 19/09/2005