Recensioni - Cultura e musica

Cosi – Stefanescu, tra classico e neoclassico

Lo spettacolo di balletti presentato ieri sera al Teatro Grande di Brescia dalla Compagnia Balletto Classico di Liliana Cosi e Mar...

Lo spettacolo di balletti presentato ieri sera al Teatro Grande di Brescia dalla Compagnia Balletto Classico di Liliana Cosi e Marinel Stefanescu ha senz’altro riscosso ampio consenso e ha fatto piacere vedere che in sala fossero presenti anche parecchi giovani e bambini, segno che forse il balletto classico può ancora sperare in una nuova rinascita.
Entrambi questi ballerini hanno alle loro spalle una brillante carriera di danzatori che ha elargito loro successi, ma che non ha comunque risparmiato qualche piccolo dolore. Liliana Cosi, milanese, si è formata alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano; ben presto capisce che alla Scala non avrebbe la possibilità di emergere e di interpretare i ruoli necessari per poter crescere artisticamente. Per questo motivo accetta un invito del Bolshoi di Mosca dove, per 10 anni, sarà ballerina ospite colmando un vuoto storico delle ballerine italiane in Unione Sovietica che durava da più di mezzo secolo. Qui studia con Maja Plissekaja e Galina Ulanova, entrambe ballerine di fama internazionale, la maestra Vera Petrova Vassilieva, Grigorovich e Vassiliev e ha la possibilità di danzare in tutti i ruoli principali del balletto imperiale russo come La Bella Addormentata, Il lago dei Cigni, Lo Schiaccianoci di Nureyev e anche Giselle.
Arrivata al successo internazionale Liliana Cosi decide di non seguire le strade tradizionali e per questo determinante è stato il suo incontro con Marinel Stefanescu col quale condivide, oltre che la passione per la danza e una brillante carriera, anche l’idea che il balletto debba esprimere la bellezza interiore, rifacentosi forse al kalos kai agathos dei greci. Con l’intento di saziare “quella sete di bellezza che il mondo sente” nel 1975 a Reggio Emilia viene fondata la loro compagnia nel cui statuto sta scritto: “… ci proponiamo di coltivare e di diffondere specie tra i giovani il balletto, quale espressione di arte e di cultura, strumento di elevazione e di liberazione oltre ogni confine sociale e nazionale, momento dell’armonia e della bellezza che l’anima di ogni uomo ricerca…”.
Inizialmente il coreografo rumeno, diplomatosi all’Accademia Coreografica di Bucarest e vincitore di numerosi e prestigiosi concorsi internazionali (tra cui il primo premio categoria juniores a Varna nel 1966), si avvaleva di ballerini provenienti da diverse scuole di danza per mettere in scena le sue idee, mentre oggi può contare sulle nuove leve provenienti dalla Scuola di Balletto Professionale che dal 1978 ha sede nel medesimo edificio della Compagnia.

Lo spettacolo presentato ieri sera era articolato in tre sezioni tutte coreografate da Stefanescu con l’eccezione del grand pas de deux del terzo atto del Don Chisciotte per la coreografia di Petipa.
Nel primo brano, coreografato sulle note del Concerto n. 1 per pianoforte ed orchestra di Tchaikovsky, si è particolarmente distinta per l’alta qualità tecnica e per la capacità di esprimere la sua gioia della danza la bravissima Yoko Shida affiancata da Marco Ferrini che, forse per il contrasto con le straordinarie doti di leggerezza dell’interprete femminile, è risultato poco convincente, specie nel manege di grand jeté en tournant. Brave anche le altre quattro danzatrici. Coreograficamente molto efficace è stata l’idea (forse ispirata da Kylian?) di iniziare con i due interpreti principali di spalle e terminare poi nello stesso modo, ma en face; piacevole anche l’idea di non far danzare sempre le ballerine all’unisono, anche se talvolta gli insiemi non erano perfettamente bilanciati e alcuni passi risultavano forse un po’ troppo scolastici come le doppie pirouettes en face prese dalla quarta posizione per tre o quattro volte di seguito sul finire del brano. Splendidi tutti i costumi che, in linea con il credo estetico della Compagnia, contribuiscono a rendere l’idea della finzione/bellezza teatrale in contrasto con la realtà quotidiana.
La seconda parte dello spettacolo è stata presentata a metà tra l’idea di un saggio della scuola (con questa definizione non si intende minimamente sminuire l’alto valore della danza) e un gala. “Slanci”, danzato da quattro coppie di ballerini, ad apertura di sipario sembrava citare quasi testualmente per i costumi e per il fondale bianco illuminato di azzurro l’Apollon Musagète di Balanchine. Marinel Stefanescu ha saputo ampiamente far lavorare anche il corpo di ballo maschile dimostrando che il concetto del danzatore nella sua compagnia non è fermo al Romanticismo. Belli i salti a canone e l’idea di terminare con tre coppie che danzano una sequenza e un’altra, solitaria che va per la sua strada.
I tre brani di repertorio ricoreografati da Stefanescu sono stati spendidi per le sequenze create dal coreografo rumeno e per l’interpretazione data dagli artisti. Perfetti Paola Masi, romanticissima nella parte di Swanilda, e Alexander Serov nel grand pas de deux del terzo atto di Coppelia; superba l’interpretazione di Yoko Shida e Dorian Grory (specie nella tarantella) nel pas de deux del secondo atto dello Schiaccianoci, anche se dal punto di vista coreografico l’unico neo sta nella variazione della Fata Confetto perché i passi talvolta sembrano non rispettare le frasi musicale e la velocità stessa della musica. L’adagio di Spartacus è stato danzato con l’anima da Paola Masi e Faliero Bonacci si è senz’altro distinto per la forte presenza scenica.
L’unica coreografia di repertorio presentata in originale è stato il grand pas de deux del terzo atto del Don Chisciotte: Yoko Shida è stata ancora una volta tecnicamente perfetta e Vittorio Galloro certo non è stato da meno, pur mancando talvolta di carisma spagnolo, cosa che passa però in secondo piano considerando l’eccellente esecuzione nel suo insieme.
La terza ed ultima parte “In Attesa del Nuovo Tempo” su musica di Brahms, è stata un’esplosione di colore, sia per la scenografia ideata dallo stesso Marinel Stefanescu, sia per i costumi maschili.

Concludo con la speranza di non dover attendere altri tre anni per poter vedere di nuovo a Brescia questi giovani artisti che nulla hanno da invidiare ai ballerini formati dalle scuole dei teatri italiani.

Sonia Baccinelli (28/10/2001)