Recensioni - Cultura e musica

Cremona: Giovanni Sollima e Beatrice Rana raffinati interpreti beethoveniani

Il bellissimo concerto dedicato al genio di Bonn ha visto protagonisti anche Andrea Obiso e Giuseppe Russo Rossi

Il quinto concerto del Festival Stradivari 2020 ha ospitato due interpreti di caratura internazionale del calibro del violoncellista Giovanni Sollima e della pianista Beatrice Rana, accompagnati da due giovani talenti quali Andrea Obiso al violino e Giuseppe Russo Rossi alla viola in un concerto dedicato a Ludwig Van Beethoven in occasione del 250° dalla nascita. Il programma prevedeva una composizione giovanile, ovvero il Trio per archi in mi bemolle maggiore n. 1 op. 3 ed una composizione della piena maturità quale la Sonata per violoncello e pianoforte n. 4 in do maggiore, inframmezzate da una composizione di Giovanni Sollima, ovvero la Sonata per il 2050 concepita dall’autore partendo da dei frammenti abbandonati di Beethoven stesso.

Nonostante, soprattutto nei primi movimenti, il Trio per archin.1 op. 3 risenta ancora molto delle influenze di Mozart e Haydn, già nell’allegro conclusivo, ed in parte anche i due movimenti lenti, l’allora venticinquenne Beethoven lascia intravedere un tentativo di autonomia dal punto di vista stilistico. Vero è che si tratta ancora di una composizione dalle marcate influenze neoclassiche, che Giovanni Sollima, Andrea Obiso e Giuseppe Russo Rossi hanno eseguito con grande vitalità e ricchezza di accenti in apertura del concerto.

Dopo i meritatissimi applausi a Sollima si è affiancata Beatrice Rana, per l’esecuzione della Sonata per il 2050 composta dallo stesso Sollima partendo dal frammento della Sonata per violoncello op. 64 il cui tema principale è lo stesso del primo movimento del trio precedentemente ascoltato, dando vita così ad un raffinato gioco di specchi. L’idea della composizione prende spunto dalla sonda Voyager, che dal 1977 porta attraverso lo spazio, tra le testimonianze della razza umana, anche musiche di Bach e di Beethoven. Ed è infatti lo spazio siderale che viene evocato nella suggestiva e delicata interpretazione questa bellissima sonata, in cui ai suoni liquidi, quasi astratti del pianoforte si accompagnano rarefatte lunghe arcate di violoncello.

Totale cambio d’atmosfera nell’ultimo brano ovvero la Sonata per Violoncello e Pianoforte n.4, definita da Beethoven stesso una “sonata libera”, ad indicare la maggiore libertà rispetto alle forme canoniche: il disegno irregolare del primo movimento, l’introduzione rapsodica del secondo e l’originalità del finale. Qui il suono dei due interpreti, sempre impeccabili nell’esecuzione, si è fatto più vigoroso, ricco di accenti per una conclusione trascinante salutata con applausi calorosissimi dal pubblico dell’Auditorium Arvedi.