Domenica 16 dicembre al Teatro Grande di Brescia l’Aterballetto ha presentato Comoedia con le coreografie di Mauro Bigonzetti. ...
Domenica 16 dicembre al Teatro Grande di Brescia l’Aterballetto ha presentato Comoedia con le coreografie di Mauro Bigonzetti.
L’Aterballetto, fondata nel 1979 a Reggio Emilia, è stata la prima realtà stabile di balletto al di fuori degli Enti Lirici ed è una delle principali compagnie di danza italiana. Dal giorno della sua fondazione la compagnia ha avuto due Direttori Artistici: dal 1979 al 1996 Amedeo Amodio e dal 1997 a oggi Mauro Bigonzetti. Entrambi hanno contribuito alla crescita artistica della compagnia sia con propri lavori sia attraverso importanti collaborazioni, come quelle con Glen Tetley, Alvin Ailey, Lucinda Childs e William Forsythe. L’aumentato prestigio della compagnia ha permesso di acquisire i diritti di rappresentazione di produzioni di noti coreografi di fama internazionale e a fine gennaio la compagnia debutterà in prima nazionale a Modena con Heart’s Labyrinth di Jiri Kylian e Chameleon di Itzik Galili.
Nato a Roma nel 1960, Mauro Bigonzetti studia e si diploma alla Scuola del Teatro dell’Opera entrando subito a far parte della compagnia del teatro della capitale. Nel 1982 si unisce nell’Aterballetto in qualità di ballerino e dal 1990 inizia a coreografare per l’Aterballetto (tra i suoi primi lavori Del Doman non v’è certezza, Mediterranea, Blue Notes). Al domani della sua nomina a direttore artistico della compagnia di Reggio Emilia parte l’ambizioso progetto sulla Divina Commedia che impegna la compagnia per tre anni: 1998 l’inferno, 1999 il purgatorio per arrivare giusto nell’anno del giubileo col Paradiaso. Dopo il lavoro dettagliato su ogni cantica, Bigonzetti è tornato sul suo operato eseguendo un lavoro di sintesi sulle sue stesse coreografie presentando appunto Comedia per la prima volta in occasione del festival di Montpellier nel giugno 2000.
Quasi superfluo dire che lo spettacolo è diviso in tre parti su musiche di Bruno Moretti, Dimitrij Shostakovich e Johan Sebastian Bach.
Ad apertura di sipario troviamo sette danzatori, girati di spalle, che sembrano sospesi nel vuoto disposti in modo da disegnare un cerchio: tranne uno, hanno tutti in mano una candela. Al centro dello spazio scenico inizia a ballare un danzatore con movimenti avviluppati e piedi spesso in posizione flex; ad un certo punto la ballerina che era senza candela con una capriola viene staccata dalla parete e inizia uno splendido passo a due dove ad un certo punto nei movimenti delle braccia pare quasi di vedere una citazione della celebre morte del cigno. Entrano poi due coppie e gli uomini portano le ragazze come fossero manichini: i costumi color carne di Lucia Socci e Claudio Parmiggiani contribuiscono ad aumentare questa sensazione. La scenografia cambia: cala una parte di candele e in scena abbiamo quattro coppie disposte due al di qua e due al di là della luce. Queste quattro coppie ballano dividendo lo spazio tra destra e sinistra; i movimenti intrecciati di gambe e braccia sono soffici e precisi quasi come se i ballerini si muovessero a pelo dell’acqua. Ad un certo punto qualcosa li interrompe: le ragazze restano al loro posto e i ragazzi si muovono per cambiare la patner muovendosi da destra verso sinistra o viceversa.
Da questo momento le quattro coppie, che sino ad ora avevano ballato a due a due, iniziano a ballare all’unisono; la scena si conclude con i danzatori che si muovono utilizzando la parte delle candele come se fosse un grande specchio in maniera molto suggestiva.
Cambia il tono musicale e il registro dei passi si adegua: da movimenti pacati e avvolgenti si passa a grandi salti, a gesti convulsi con predominanza di en dedans e flex. Ad un certo punto troviamo tutti i ballerini in scena che si muovono seguendo il ritmo frenetico della musica e poi d’un tratto fermi: questa alternanza di stop and go, spazi pieni e vuoti pare essere suggerita da alcuni lavori di Kylian, come anche la divisione dello spazio secondo linee orizzontali o verticali. L’ultima scena mostra i dannati avviluppati in una spirale che piano piano si srotola facendo uscire i ballerini dall’ultima quinta a sinistra per farli rientrare quasi immediatamente dalla prima quinta a destra.
La seconda cantica ha per scenografia una serie di orologi di varia grandezza, puntati tutti su orari diversi e disposti come bolle d’aria. Questa seconda parte è musicalmente composta da cinque pezzi di Shostakovich separati tra di loro dal ticchettio degli orologi, alternando così la musica dell’orchestra con la musica registrata su cui qualche volta vengono inserite le terzine dantesche. Il ticchettio inizia piano, quasi impercettibile e man mano aumenta: i due angeli verdi adeguano la loro gestualità. Rientra di corsa la catena dei dannati che si ferma in diagonale: i ballerini poi si gettano a terra ed escono con balzi sulle mani. Riprende il ticchettio sul quale danza ancora la coppia verde. Appena il ticchettio smette e comincia la musica registrata inizia un’altra coppia e gli angeli restano in scena sul fondo.
L’idea di alternare la musica col ticchettio degli orologi è carina, anche se a lungo andare sarebbe risultata un po’ ripetitiva se non fosse stato per la superba interpretazione data dai ballerini: molto tecnico l’assolo di lui terminato in fondus per poi ricominciare con un rond de jambe con la gamba di sostegno in mezza punta e di sicuro effetto le lunghissime braccia di lei messe con le mani giunte dietro la schiena.
Bigonzetti aveva concepito questa seconda cantica con sette duetti corrispondenti ai setti peccati capitali e lo stesso Dante ha dato lo spunto per una gestualità adatta ad ogni peccato: i superbi che danzavano a capo chino, gli invidiosi che ballavano ad occhi chiusi, i pigri, gli irosi, gli avari, i golosi e i lussuriosi ciascuno con una sua specificità. In questa riduzione il messaggio non passa fino in fondo, anche se vengono senz’altro identificate alcune componenti come quella dei golosi e dei lussuriosi.
La terza cantica inizia con sei danzatrici disposte a V più una in mezzo: le ballerine, ora di schiena ora di faccia, giocano con la luce, mentre sul fondo comincia a vedersi un’enorme palla grigia. In questa cantica sembra prevalere il numero tre (forse un riferimento alla simbologia medievale?): piccoli gruppi di tre danzatrici che danzano tre volte, tre coppie e, quando i danzatori sono tutti in scena, si muovono tagliando lo spazio scenico in tre parti (gruppo centrale e due gruppi laterali).
Comoedia ha senz’altro convito il pubblico bresciano dell’alta professionalità dell’Aterballetto sia per la solida preparazione classica dei suoi componenti, sia per le riuscite scelte coreografiche di Bigonzetti.
Sonia Baccinelli