Recensioni - Cultura e musica

Domingo convincente Nabucco in Arena

Il cantante spagnolo al successo anche nel nuovo registro baritonale

Nell’ ambito delle produzioni della stagione del bicentenario verdiano, la Fondazione Arena ha ripreso anche Nabucco nella storica edizione firmata da Gianfranco De Bosio. Ad onor del vero verrebbe da dire che il firmatario dello spettacolo è Rinaldo Olivieri, visto che, come per l’Aida di Ettore Fagiuoli, il regista veronese si limita a riempire in maniera abbastanza convenzionale un progetto scenografico già di per sé efficace e suggestivo.

Ciò non toglie che la messinscena, pur nel suo essere tradizionale, funzioni egregiamente e non faccia assolutamente rimpiangere gli sbilenchi tentativi di modernizzazione dell’opera verdiana che si sono succeduti nel corso degli ultimi lustri (fatta eccezione per l’intrigante edizione di De Ana, che avrebbe a mio avviso meritato vita più lunga).
Ad ogni modo quello di De Bosio-Olivieri è un Nabucco imponente, monolitico, con la sua struttura a Torre di Babele che occupa praticamente tutto il palcoscenico, riducendo i movimenti delle masse ed accentuando la dimensione di staticità ed oratorialità dell’opera.
Nabucco è qui interpretato come dramma religioso, come scontro di culture, proiettato però verso una dimensione biblica e quindi mitica, che poco o nulla ha a che fare con l’aspetto patriottico-risorgimentale che comunque gli si riconosce.
Piglio ed energia tipici del cosiddetto “Verdi risorgimentale” sono invece le caratteristiche che hanno contraddistinto la concertazione di Julian Kovatchev. Il direttore tedesco ha optato per tempi sostanzialmente sostenuti che gli hanno comunque consentito un’abile gestione delle dinamiche  sia nei passaggi più squisitamente lirici che in quelli più concitati, salvo qualche sfasamento buca-palcoscenico come ad esempio nel concertato finale del primo atto.
Nella recita cui abbiamo assistito il ruolo del titolo era interpretato da Placido Domingo, che ha prevedibilmente catalizzato l’attenzione del pubblico. Il cantante spagnolo non ha un vero e proprio timbro baritonale: il colore è sì caldo e brunito ma le note più gravi non sono sempre perfettamente a fuoco. Tecnica ineccepibile e carisma da vero leone sopperiscono però a tutte le eventuali chiose che gli si potrebbero muovere, compresa quella di una voce un po’ affaticata.
Non so infatti che altri all’età di 70 anni potrebbe sfoggiare uno strumento tale da permettergli di reinventarsi un repertorio conseguendo risultati di tale livello.
Al suo fianco Amarilli Nizza è riuscita a delineare un’Abigaille tutto sommato credibile.  Sorvolando sul  primo atto, in cui l’emissione ha praticamente conosciuto il solo registro forte, a partire da “Anch’io dischiuso un giorno” è emersa la corda più lirica che le ha permesso in corso d’opera di delineare in maniera sempre più articolata il difficile personaggio.
Lo Zaccaria di Raymond Aceto sfoggiava un’adeguata estensione vocale ed un ragguardevole volume mostrando però alcune carenze a livello di fraseggio. Caratteristiche che lo penalizzavano nelle arie più liriche e gli permettevano di conseguire i risultati migliori nelle cabalette, infilandoci anche acuti non previsti in partitura.
Buone le prove di Geraldine Chauvet (Fenena) e Giorgio Berrugi (Ismaele).
Eccellente il coro diretto da Armando Tasso che ha avuto il suo momento di gloria nel Va pensiero, rigorosamente bissato come da prassi areniana.
Il pubblico al termine ha decretato il successo per tutti ed il trionfo per Domingo.

Davide Cornacchione 18 agosto 2013