Recensioni - Cultura e musica

Dopo quarant’anni di assenza Verona ripropone Wagner con l’Olandese Volante

Dopo ben quarant’anni e invero pochissime rappresentazioni wagneriane a Verona, l’Ente Arena ripropone giustamente un’opera del so...

Dopo ben quarant’anni e invero pochissime rappresentazioni wagneriane a Verona, l’Ente Arena ripropone giustamente un’opera del sommo musicista tedesco. L’Olandese Volante è fra i primi lavori del compositore di Lipsia, ma già presenta in nuce molte caratteristiche della produzione futura: dall’imponenza del dettato orchestrale al precoce, anche se ancor poco definito, utilizzo del leit-motiv.

A Verona abbiamo assistito ad una Mise en espace più che ad una regia vera e propria. L’orchestra e il coro sono infatti stati posti direttamente sul palcoscenico, mentre i cantanti e alcuni mimi che simulavano le azioni corali si muovevano su di un bastimento stilizzato che si ergeva dietro l’orchestra. L’impianto scenico di Ulderico Manani era di grande sobrietà, completato da semplici proiezioni e giochi di luce permetteva sempre di seguire la vicenda e la musica. A fronte di una scelta così stilizzata e necessariamente limitante si perdevano ovviamente tutte le possibilità suggestive che di solito una messa in scena tradizionale permette, pensiamo soprattutto all’arrivo della nave fantasma dell’Olandese, ma anche al finale o al lungo coro introduttivo del terzo atto dove francamente i movimenti mimici risultavano alla lunga sterili e ripetitivi. In un impianto così astratto e che per certi versi ricordava la messa in scena del Tristano e Isotta di Ruth Berghaus, sarebbe stato opportuno stilizzare e simbolizzare anche i movimenti e i rimandi testuali invece di affidarsi completamente al libretto inscenando comunque le donne che filano nel secondo atto e marinai rematori nel primo. Ad ogni modo questa Mise en Espace ha avuto il pregio di non interferire mai con le intenzioni musicali e con il canto.

Vocalmente su tutti spiccava l’Olandese immenso e inarrivabile di Wolfgang Brendel. Il baritono tedesco è dotato di un magnetismo mozzafiato legato ad una voce squillante, scura e modulata con grande perizia tecnica. Durante la sua prima uscita calamitava letteralmente l’attenzione della platea eclissando tutti gli altri, marcando una differenza oggettiva anche solo come volume e modulazione della voce nell’ampia sala del Teatro Filarmonico. La scarna messa in scena faceva inoltre risaltare le doti di misuratissimo attore di Brendel, che con pochi gesti rendeva appieno l’afflizione interiore del tormentato Olandese. Ottima anche la Senta di Elisabeth Meyer-Topsoe, dalla voce squillante e timbrata. La sua ballata del secondo atto era tuttavia concertata su tempi troppo lenti e interpretata senza l’impeto allucinatorio necessario. Corretto il Daland di Bjarni Thor Kristinsson, mentre decisamente sotto tono l’Erik di Keith Olsen. Il direttore José Maria Collado staccava a volte tempi eccessivamente lenti, ma in definitiva riusciva a tenere insieme l’orchestra dell’Arena di Verona spesso in impaccio sulla partitura wagneriana anche per la scarsa frequentazione di questo repertorio. Insufficiente il coro a cui mancava la compattezza d’insieme necessaria ad interpretare Wagner.

Alla fine meritato successo per tutti e ovazioni per Wolfgang Brendel. Il Teatro Filarmonico non era certo esaurito, ma registrava un buon afflusso di pubblico. Speriamo dunque di non dover attendere ancora quarant’anni per ascoltare nuovamente Wagner a Verona.

R. Malesci
(20 Ottobre 2001)