Recensioni - Cultura e musica

Eterotropie inaugura nel segno di Gabrio Taglietti

Il compositore anche esecutore al pianoforte di un ciclo di sue canzoni interpretate dalla voce di Eleonora Filipponi

È avvenuta nel segno di Gabrio Taglietti, sul filo della sua scrittura raffinata e tesa, l’inaugurazione del nuovo cartellone di Eterotopie, la rassegna concertistica nata da un progetto dell’associazione Diabolus in Musica e giunta ai suoi primi vent’anni di vita. “La frangia più temeraria della proposta musicale di Mantova Musica”, come ha dichiarato con un sorriso l’organizzatore Leonardo Zunica, salutando il numeroso pubblico che lo scorso sabato 25 marzo è intervenuto al primo appuntamento, nella sempre magica cornice della Sala dei Cavalli di Palazzo Te. In effetti, un cartellone vivo e composito, dichiaratamente esposto ad interrogare, con programmi intensi e mai scontati, il nostro tempo. Percorsi sterrati, dunque, a cercare fili sottesi ed intimi riverberi tra i luoghi e i tempi della storia, volti a porne in dialogo le voci e le pagine, come è avvenuto per “Il tempo dei desideri”, il concerto iniziale, cui limpido protagonista è stato il compositore cremonese da tempo docente presso il Conservatorio Campiani di Mantova e qui nella doppia veste di autore e interprete.

Suo, sul leggio, il ciclo di dodici Canzoni per mezzosoprano e pianoforte composte su testi del poeta milanese Alberto Mari. Frutti aspri e sorprendentemente intensi nati nei mesi di pandemia, concepiti come immaginarie cartoline da inviare ad amici compositori, nella reclusione del secondo lockdown. Miniature scolpite con pennino fine, addossate alla parola sonora del poeta e capaci di travasarne, oltre che le risonanze, il continuo, inquieto trascolorare di umore in umore, la guizzante, spesso stridente combinazione di opposti. Pagine in cui la voce – quella drammatica, viscerale, esatta, di Eleonora Filipponi – intavolava un dialogo serrato con lo strumento, chiamato non ad avvolgerne la linea del canto ma, piuttosto, a solleticarne il racconto, ad insinuarsi tra detto e non detto con una trama mercuriale e materica, attraversata da continui, ricorrenti barbagli di luce, folate di vento negli svolazzi effettistici di arcani echi onomatopeici e più polverosi, abissali richiami, affioranti dal fondo nero di una cordiera esplorata in ogni sua potenzialità. E, di stanza in stanza, intrecciati a queste pagine erano i profili di tre canzoni napoletane ripescate dallo stesso Taglietti dai fondali della storia e confluite nella raccolta dei suoi “Capricci aprocrifi”, pubblicati di recente.

Cerchi concentrici ed inediti di un universo complesso quanto inafferrabile, lacerato da intimi contrasti che solo l’anelito alla bellezza concilia per brevi, folgoranti momenti. Da un lato, la linea ferma, quasi sacerdotale, della voce, la sua ostinazione su note ossessivamente ripetute da una sillabazione incalzante, quasi a monito di verità non più rinviabili; dall’altro, il pulsare ora sottile ora barbarico del pianoforte, tessuto connettivo di un discorso musicale capace di leggere sino in fondo le pieghe della parola tanto da portarla ad essere essa stessa gesto, battito, assillante interrogativo. Un viaggio lungo dodici stazioni: immaginifico, urticante, teso ad interrogare, più che a dire, come lo è da sempre la cifra creativa di Taglietti. Al centro della parabola, cuore sintattico ma anche poetico dell’opera, “Mea rosa”, perla autentica nella rarefazione raggrumata della sua parola criptica, esaltata da un tappeto strumentale altrettanto evocativo, in levare. Ad esaltare i testi, ancor prima di gustarne il loro tuffo nella materia musicale ordita da Taglietti, erano le letture di Stefano Iori e di Carla Villagrossi, dell’associazione Mantova Poesia. Applausi per un concerto da ricordare.