Recensioni - Cultura e musica

Fazil Say, eclettico funambolo della tastiera

Il pianista turco accompagnato dalla Prague Philharmonia conquista il teatro Filarmonico

È abbastanza inusuale che all’interno di una rassegna dedicata alla musica sinfonica, in cui le protagoniste sono le orchestre, possa capitare una serata in cui la vera star è il pianista mentre la compagine   orchestrale si trova quasi ridimensionata al ruolo di “partner”. Eppure è quello che è accaduto al Settembre dell’Accademia in occasione del concerto che proponeva in locandina la Prague Philharmonia Orchestra diretta da Jan Latham-Koenig insieme al pianista Fazil Say.

La presenza del virtuoso della tastiera ha infatti radicalmente mutato, nel corso della seconda parte, l’atmosfera di un concerto che era iniziato secondo i più classici canoni della tradizione sinfonica.
La prima parte, che ha visto esibirsi la sola orchestra, prevedeva infatti due brani del grande repertorio, ovvero l’Ouverture delle Nozze di Figaro di Mozart e la Sinfonia Italiana di Mendelssohn, nei quali la Prague Philharmonia ha dato prova di buona coesione ed affiatamento, pur non raggiungendo particolari vette interpretative.
Se nell’ouverture mozartiana Latham-Koenig ha puntato sul brio e sul ritmo incalzante, che indiscutibilmente appartengono a questa partitura, qualche perplessità è nata invece dall’ascolto della Sinfonia Italiana che, al contrario, è parsa un po’ rigida ed ingessata, soprattutto nel primo movimento, e che nel saltarello è stata punteggiata da alcune imprecisioni a livello esecutivo.
Decisamente di tutt’altro tenore la seconda parte della serata, grazie soprattutto alla magnetica presenza di Fazil Say, che ha regalato una interpretazione magistrale del Concerto per pianoforte e orchestra in sol maggiore di Ravel ed una estremamente singolare della Rapsodia in blu di Gershwin. Se nel primo caso la ricerca del colore ed una tecnica ineccepibile lo hanno portato a raggiungere risultati di grande lirismo, in particolare nel secondo movimento (che è il perno di tutta la composizione), nel brano successivo una lettura estremamente libera ma altrettanto coerente ai limiti dell’interpretazione jazzistica ha trascinato il pubblico verso vette di vero e proprio entusiasmo.
Anche l’orchestra ha in questo caso risposto in maniera adeguata, mostrandosi decisamente più a suo agio in Ravel rispetto a quanto ascoltato in precedenza, mentre in Gershwin si è avuta la sensazione di un certo appesantimento in alcuni punti.
Le ovazioni tributate a Say alla fine del concerto sono state generosamente ricambiate da tre bis: due variazioni su Summertime e su un celeberrimo tema di Paganini ed una sua composizione in stile minimal-sperimentale. 

Davide Cornacchione 11 settembre 2011