Recensioni - Cultura e musica

Freddi, cinici, magnifici bohémiens

Un allestimento memorabile del capolavoro pucciniano inaugura la stagione del Teatro Comunale di Bologna.

Ambientato in un periodo non perfettamente definito a cavallo degli anni 2000, questo allestimento non raffigura più i bohémiens di fine ‘800, idealisti, carichi di entusiasmo e passione, pronti a cambiare il mondo, ma i ragazzi di oggi: individualisti privi di ideali, chiusi in sé stessi, a tratti egoisti e spaventati dall’idea di farsi coinvolgere troppo, anche emotivamente (emblematica la cuffietta rosa buttata nel bidone dell’immondizia). Ed infatti Rodolfo abbandona Mimì per la paura di doversi farse carico di lei e della sua malattia. Nel quarto atto  lei torna nella soffitta per morire e, mentre con un’andatura da moribonda gli va incontro, lui si ritrae con il volto contratto, non la soccorre quando cade ed alla fine fugge abbandonando il corpo senza vita.

Che le cose sarebbero andate diversamente dal solito lo si intuiva già alla fine del terzo atto, in cui nella desolata barriera d’Enfer, luogo di spaccio e prostituzione, i due anziché andarsene insieme si allontanano freddamente, ognuno per conto suo, facendo capire che il “ci lasceremo alla stagion dei fior” non è l’ultimo tentativo di riconciliazione di due che si vogliono ancora bene ma il forzato compromesso che posticipa una decisione già presa.

I primi due atti, invece, sono gestiti secondo il ritmo della commedia, ed infatti si sorride spesso. È ancora il periodo dell’innamoramento, dell’illusione iniziale, nel quale sembra che tutto sia possibile. Sarà poi il confronto con la vita a far ripiombare tutti nella cruda realtà e a dare una sterzata definitiva.
Uno spettacolo magnifico, che tiene inchiodati alla poltrona senza un momento di cedimento e che apre una luce nuova su un’opera sulla quale si credeva fosse già stato detto tutto, grazie anche alla perfetta ambientazione firmata da Richard Hudson autore di scene e costumi (bellissimo l’effetto zoom della scenografia del primo atto che dal fondo arriva a proscenio).

Ma l’opera lirica è soprattutto musica ed anche questo aspetto ha raggiunto punte d’eccellenza. Michele Mariotti, al suo (quasi) debutto pucciniano concerta una Bohème superlativa per la ricchezza di accenti e per la cura di ogni particolare. Pur non rinunciando alla vena lirica il direttore pesarese imprime al dettato musicale grande scorrevolezza e fluidità. Ogni frase, ogni particolare di quel grande affresco corale che è questa partitura viene messo in risalto senza mai perdere il senso d’insieme. È molto raro che tra direttore e regista si crei una così perfetta comunione di intenti. Mariotti e Vick devono essersi confrontati molto durante le prove e i risultati si vedono.

Praticamente perfetto il cast, costituito da giovani cantanti che si sono immedesimati nei loro ruoli, fornendo anche una grande prova di recitazione.
Mariangela Sicilia è una Mimì giovanile, spigliata, affamata di vita, non la suora mancata che una certa tradizione ci ha trasmesso. Il timbro è luminoso e l’interpretazione è veramente toccante.
Francesco Demuro corrisponde perfettamente al freddo ed insicuro Rodolfo richiesto da Vick. Ottimo fraseggiatore sfoggia un timbro chiaro e disinvolto nella salita all’acuto.
Nicola Alaimo è un Marcello dal timbro pieno e corposo e ricchissimo di sfumature, cui si affianca la vitale Musetta di Hasmik Torosyan.
Ottime anche le prove di Evgeny Stavinsky, solido Colline, e Andrea Vincenzo Bonsignore, valido Schaunard.

L’orchestra e il coro del Teatro Comunale hanno perfettamente assecondato la lettura del loro direttore musicale rivelandosi strumento prezioso nelle sue mani.
La partecipazione del pubblico che esauriva il teatro era tale che in più di un’occasione l’applauso era preceduto da un momento di sospensione, quasi si dovesse uscire da una sorta di trance. Episodio verificatosi anche nel finale, prima delle meritate ovazioni.

 

Davide Cornacchione 27/01/2018


È una Bohème nuova, per molti versi rivoluzionaria quella firmata da Graham Vick che ha inaugurato la stagione 2018 del Teatro Comunale di Bologna. Il regista inglese rilegge la vicenda dei sei giovani parigini e, pur senza stravolgimenti e mantenendosi fedelissimo al testo, ne ribalta sostanzialmente la chiave di lettura.