Recensioni - Cultura e musica

GARDONE: Raffaele Paganini è Rodolfo Valentino

Dopo il successo di “Sette spose per sette fratelli” con Tosca, “Cantando sotto la pioggia” e “Un americano a Parigi”, Raffaele Pa...

Dopo il successo di “Sette spose per sette fratelli” con Tosca, “Cantando sotto la pioggia” e “Un americano a Parigi”, Raffaele Paganini interpreta il ruolo di Rodolfo Valentino, divo degli inizi del cinema.
Lo spettacolo si apre con i ballerini/cantanti che entrano lentamente uno per volta, vestiti in splendidi abiti stile anni ’20.
Siamo a New York, dove “tutto è splendido” e non mancano le occasioni per fare fortuna. Rodolfo Valentino è un’emigrante italiano, deciso a guadagnare qualche dollaro per potersi comprare un pezzo di terra e fare l’agricoltore. Gli viene suggerito di fare un provino a Hollywood per fare l’attore, ma lui non vuole. L’azione si svolge rapidamente (quasi troppo) e in men che non si dica si trova a dover fuggire dalle pallottole di un marito tradito.
Approda perciò agli Studios; il nuovo casting per giovani aspiranti è una delusione. Al regista non interessano gli spaghetti italiani. Dopo giorni di audizioni e mazzi di fiori alla segretaria, finalmente gli viene offerta la possibilità di interpretare la parte del cattivo in un film d’azione. Al termine della scena girata lo troviamo solo nel suo camerino che scrive le sue intenzioni e i suoi sentimenti naturalmente alla madre, come qualsiasi bravo maschio italiano.
La sua carriera è ormai avviata e, da questo momento, parte una seri di successi. Viene introdotto negli ambienti più esclusivi, proprio nel momento in cui lo raggiunge la notizia della morte della madre. Quasi per consolarsi, si sposa, ma il suo primo matrimonio dura solo un mese e il gossip lo accusa di non aver neppure consumato.
Conosce poi la sua seconda compagna, Natasha, che per festeggiare la fine delle riprese del film “La signora delle Camelie” dà una festa mascherata che vuole anche essere la celebrazione del loro matrimonio con stelle filanti lanciate sul pubblico per chiudere il primo atto.
Se fino a questo punto la strada di Rodolfo Valentino era stata in salita, da qui in poi, raggiunto l’apice del successo e della celebrità, inizia una prima fase di stabilità e poi il declino. L’attore diventa via via sempre più esigente sul set, contestando alla sarta il colore degli abiti da indossare, facendone una questione di gusto personale per il quale era davvero molto famoso. Natasha entra nelle questioni d’affari e vuole che Rudi venga pagato anche per approvare i copioni; il suo agente, intimorito dalle richieste della moglie dell’attore, chiede alla Metro di rinegoziare i termini del suo contratto con il divo.
La moglie si confida con l’amica, con la quale peraltro non nasconde una relazione, a proposito delle vanità di Rodolfo e dei ruoli che secondo lei non sono artisticamente adatti al suo amato. Nonostante le lamentele di Natasha, Rodolfo, memore delle sue umili origini, decide di girare ugualmente “Lo sceicco” e “Il Rajah” che il pubblico accoglie molto calorosamente. Viste le continue lamentele di Natasha per i ruoli interpretati, Valentino torna al suo vecchio sogno: quello di ritirarsi in campagna. La moglie pensa di lasciarlo, anche se lo farà solo nel momento in cui Rodolfo firmerà il contratto con la United Artists che in una clausola esclude la presenza della moglie sul set. La stampa lo attacca feroce
mente per la cura che dedica alla sua persona; lui si difende dicendo che tutto quello che fa (cipria, rossetto, brillantina…) è legato a suo lavoro e che comunque non ci sarebbe nulla di male a vedersi sempre ordinati e in ordine. Per dimostrare di essere un vero uomo sfida a pugni il giornalista che l’ha soprannominato “piumino incipriato”. Il divo è naturalmente sopraffatto. Il suo declino sarà rapido quanto inaspettata giungerà la morte che resterà sempre avvolta in un’aura di fitto mistero.

Il ritratto che viene offerto è quello di un uomo solo col suo male di vivere. Del primo sex symbol della storia del cinema, morto a solo trentun anni, prevale la dimensione umana più che quella “divina”, forse anche a causa della musica di Maurizio Fabrizio che dà un andamento lento allo spettacolo, in cui non ci sono mai momenti di gioiosa e frizzante spensieratezza. D’altra parte anche pensando al film di Russel in cui compare anche Rudolf Nureyev, di cui quest’anno è il decennale della scomparsa (un caso?), lascia un’idea molto languida dello scorrere del tempo.
Le coreografie dello spettacolo, curate da Sylvie Mougelle, erano fortemente limitate dalle scene che hanno dimezzato lo spazio libero. Piacevoli i momenti di tango delle due coppie femminili e della danza delle odalische dello “Sceicco”. Paganini è certamente più a suo agio nei panni di ballerino-mimo che non in quelli di cantante-attore, anche se il risultato è certamente accettabile.
Davvero molto curati gli abiti, in particolare quelli femminili.

Sonia Baccinelli 22 luglio 2003