
La stagione sinfonica 2024/25 dell’Opera Carlo Felice a Genova si è conclusa con un bel concerto, diretto da Donato Renzetti
Incentrato su composizioni di autori diversi, Satie, Ravel, Massenet, Cajkovskij e Stravinskij, tra loro contemporanei, e intitolato non a caso “Fin de Siècle”. Le opere eseguite sono state scritte nel cinquantennio che va dal 1870 al 1924, a cavallo tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. Nonostante le peculiarità di ciascuna di esse, frutto degli stili degli autori, il concerto è piaciuto perché i pezzi assai ben interpretati dalla sempre preziosa Orchestra del teatro, sono sembrati parti separate di un’unica grande composizione, specchio di un’epoca ormai lontana.
Si è iniziato con l’esecuzione di due delle tre “Gymnopédies” di Erik Satie, la 3 e in successione la 1, nella versione orchestrata da Debussy. L’atmosfera è intima e delicata, i gesti di Renzetti suggeriscono agli strumentisti di dialogare tra loro con toni pacati, evitando confusioni e manie da protagonismo non richieste da Debussy, al quale va il merito di aver conservato intatto lo spirito delle Gymnopédies, originariamente scritte da Satie per pianoforte. La bellezza delle frasi crea nell’intimo degli spettatori più partecipi un senso di malinconia misto a nostalgia, legato a qualcosa che è stato, che si è vissuto e di cui si conserva il ricordo.
Si passa alla “Tzigane” di Ravel e sale sul palco la violinista Elisabetta Garetti. Ravel indica, per la sua composizione, un andamento “Lento, quasi cadenza”. I primi quattro minuti vedono la Garetti, attenta e con gli occhi incollati alla partitura, esibirsi in un lungo monologo simile sotto ceri aspetti proprio a una cadenza, se non fosse che mancano in questo frangente elementi eccessivamente virtuosistici. Arriveranno in seguito quando, prima l’arpa e poi le altre voci (clarinetti, oboi, archi, percussioni e persino la celesta), coloreranno di magia un brano che entra nella mente dello spettatore suscitando emozioni contrastanti.
Resta sul palco la Garetti per l’esibizione della “Méditation” di Massenet, tratta dall’opera “Thais”, scritta dallo stesso autore. La violinista interpreta la sua parte al meglio, la melodia ha la capacità di catturare il pieno interesse dei presenti, qualcuno in platea si commuove. A differenza della “Tzigane” dove, dopo il lungo assolo iniziale, il violino è uno strumento che ha la stessa rilevanza degli altri, con Massenet l’orchestra si piega al primato dello strumento solista, che Garetti ben controlla mostrando sensibilità e sicurezza.
La “Romeo e Giulietta ouverture fantasia” di Cajkovskij appare come una straordinaria messa insieme di frasi di sapore differente. Dall’inizio meditativo e cupo affidato ai fiati e agli archi si passa ad una fase più concitata che persiste fino al momento in cui l’oboe presenta il tema principale che viene poi riproposto dai flauti, cullati dall'evidente accompagnamento degli archi. L’infuocata parte centrale, dove eccellono sezioni virtuosistiche, lascia posto alla tranquillità: spazio ancora alla melodia portante, stavolta intonata, con insistenza, dagli archi.
Il concerto si conclude con “L’oiseau de feu” di Stravinskij, nella versione suite 1919. Suddivisa in sei parti, è una composizione che, pur non presentata in forma di balletto, mette a nudo il genio compositivo dell’autore russo che valorizza le eccellenze strutturali e timbriche degli strumenti impiegati ottenendo risultati ammirevoli. L’alternanza di passi quieti e passi energici, caratteristica fondante del genere della suite è evidente e lo spettatore è tenuto sulle spine fino al momento conclusivo, quando l’orchestra tutta urla e suona più volte quel celebre tema, emblema di vittoria, di trionfo, di gioia piena.