Recensioni - Cultura e musica

GiovannaD'Arco accende il Farnese

L'opera giovanile verdiana in scena aParma in un suggestivo allestimento firmato da Saskia Boddeke e Peter Greenaway

Cosa succede se in teatro vengono ribaltate le convenzioni e il pubblico viene fatto sedere con le spalle al boccascena e le gradinate diventano palcoscenico? Se il teatro in questione è il Farnese di Parma vuol dire avere al possibilità di godere di una delle più belle scenografie possibili. Se poi i registi che si cimentano nell’impresa sono i coniugi Greenaway (Peter e Saskia Boddeke) accade che al Festival Verdi si abbi ala possibilità di assistere ad una Giovanna d’Arco di grande impatto visivo.

Seduto su una gradinata posta al centro del teatro il pubblico assiste all’azione che si svolge sia su una pedana sopraelevata sulla quale agiscono i cantanti, sia sulle gradinate dove si posizionano figuranti e occasionalmente si posiziona il coro, statico ma con la compostezza e la severità di un coro greco.
Le gradinate divengono anche il luogo su cui vengono continuamente proiettate immagini tridimensionale, luci laser, fotografie in un gioco che trasporta gli spettatori in una sorta di scatola magica.
L’azione scenica viene molto stilizzata e la trama dell’opera diventa spunto per una riflessione più ampia sul tema dell’infanzia vittima delle guerre di religione, dato che anche Giovanna è una bambina vittima di un pregiudizio religioso.
Alla cantante che interpreta la protagonista vengono quindi affiancate due ballerine che rappresentano Giovanna bambina e Giovanna Guerriera che la accompagnano sempre nell’azione creando coreografie spesso poetiche e intense.
È inevitabile che un’interpretazione così libera provochi alcuni scollamenti tra quanto è scritto in partitura e quanto accade in scena, oppure che vi siano passaggi difficili da interpretare, ma il colpo d’occhio è di grande suggestione ed efficacia, salvo alcune soluzioni non felicissime quali la Giovanna in versione manga che ogni tanto appare nelle proiezioni.
Di grandissima poesia il finale in cui, mentre Giovanna morente canta la sua aria alle spalle una proiezione dell’interprete di Giovanna bambina rappresenta l’anima che si sta elevando in cielo per poi ricongiungersi a lei nell’abbraccio finale mentre scorrono le immagini di bambini profughi.
Apprezzato anche l’aspetto musicale dello spettacolo, a partire dal Carlo di Luciano Ganci, tenore dal timbro lirico e squillante, buon fraseggiatore e sicuro negli acuti. Convince anche la Giovanna di Vittoria Yeo, dalla bella voce lirica, sicura nelle agilità ma ridimensionata nell’interpretazione, complice scuramente l’impostazione registica che la priva della fisicità. Vittorio Vitelli è un Giacomo intenso e partecipe ed anche Gabriele Mangione, Delil, e Luciano Leoni, Talbot, assolvono egregiamente il loro compito.
Ramon Tebar alla testa dei Virtuosi Italiani sembra più a suo agio negli episodi lirici rispetto a quelli guerrieri nei quali tende ad eccedere nel clangore orchestrale e nel ritmo.
Come sempre eccellente la prova del coro del Teatro Regio preparato da martino Faggiani.
Al termine applausi convinti da parte di un Teatro Farnese completamente esaurito.

Davide Cornacchione 15/10/2016