Recensioni - Cultura e musica

Gomorra e il Divo: due capolavori antitetici.

Due grandi film girati da registi di grande personalità

Accolti con grande favore al Festival di Cannes, ed insigniti di premi prestigiosi, i due film Gomorra, di Mattero Garrone,  ed Il Divo, di Paolo Sorrentino, hanno fatto (forse un po’ troppo ottimisticamente) plaudere ad una sopravvenuta rinascita del cinema italiano.
In realtà due rondini non fanno primavera, ed il cinema di casa nostra soffre di mali ben più grandi di quelli che si possono curare con un paio di riconoscimenti, seppur ottenuti in un festival di prestigio. Tuttavia è innegabile che ci troviamo davanti a due delle migliori pellicole, non solo a livello italiano,  cui è capitato di assistere da tempo, ciascuna caratterizzata da uno stile assolutamente personale che si stacca dai triti e stanchi e stereotipi cui l’attuale produzione ci ha ormai assuefatti.
Ambedue i film affrontano temi dell’attualità di casa nostra: il primo, ispirato al romanzo di Roberto Saviano, tratta dello spinoso argomento della camorra, mentre il secondo racconta gli ultimi lustri della vita politica del Senatore Giulio Andreotti.

Dal punto di vista stilistico difficilmente avremmo potuto trovare due opere così differenti: Garrone nel girare una sorta di docu-drama, cerca di raccontare la vicenda facendo quasi scomparire ogni elemento che rimandi alla finzione. La macchina da presa è quasi sempre a mano (ma mossa con un’abilità che Von Trier neanche si sogna), non esistono musiche di sottofondo, la bellissima fotografia di Luca Bigazzi è sempre molto livida, asciutta, senza nessuna concessione estetizzante, la lingua è un napoletano stretto parlato molto spesso da attori non professionisti. In sostanza ci troviamo di fronte ad uno dei migliori lavori ispirati alla nostra grande tradizione neorealista.
D’altra parte Sorrentino non rinuncia al suo stile barocco, raffinato, sovrabbondante, con movimenti di macchina elaborati e ricercatissimi, contrappuntati da un’azzeccata selezione di musiche perlopiù classiche. Il personaggio Andreotti che ne esce è quindi una sorta di divertita raffigurazione dello stereotipo che ormai tutti ci siamo creati, ma è disegnato con tale intelligenza che non scade mai nella caricatura. Il paragone forse è un po’ azzardato, ma la figura qui rappresentata ha dei rimandi che si potrebbero collegare addirittura a  Chaplin. L’eccellente Toni Servillo, presenza comune nei due lavori e qui nel ruolo del titolo, è affiancato da un cast di grandi attori, quasi tutti provenienti dal teatro di prosa, citiamo tra gli altri Flavio Bucci, Aldo Ralli, Piera Degli Esposti, Massimo Popolizio, che contribuiscono a tratteggiare un sottobosco politico ironicamente inquietante.
Due pellicole assolutamente da non perdere che meritano tutto il riconoscimento di cui sono oggetto.

Davide Cornacchione 12/04/08