Recensioni - Cultura e musica

Hatched Ensamble di Mamela Nyamza per la prima volta a Brescia

Una coreografia innovativa e coinvolgente

Dopo il successo in prima nazionale del 29 e 30 marzo alla Triennale Milano nell’ambito del programma FOG 2025, "Hatched Ensemble" arriva anche a Brescia.

L'opera coreografica della rinomata artista sudafricana Mamela Nyamza è l'evoluzione del suo assolo autobiografico "Hatched" del 2007 nel quale la Nyamza si esibiva tenendo con sè sulla scena il figlio Amkele Mandla che disegnava. La versione ensemble, che ha debuttato il 20 maggio 2024 all'International Theater di Amsterdam, amplia l'originale includendo dieci danzatori di formazione classica (Kearabetswe Mogotsi, Khaya Ndlovu, Thamsanqa Tshabalala, Dineo Mapoma, Itumeleng Chiloane, Mbali Brandt, Noluyanda Mqulwana, Zandile Constable, Pavishen Paideya, Thimna Sitokisi), una cantante d'opera (Litho Nqai) e un polistrumentista tradizionale africano (Given “Azah” Mphago). Lo spettacolo esplora temi di identità, femminilità e lotta personale attraverso la fusione di danza classica occidentale e ritmi tradizionali sudafricani.

Il pubblico viene accolto col sipario aperto, gli oggetti di scena timidamente illuminati e gli artisti seduti sul palco che finiscono il riscaldamento chiacchierando tra loro sulle note della celeberrima partitura. Le cygne di Saint-Saëns reiterata in sottofondo.

Lo spettacolo ha inizia quasi senza che ce ne accorgiamo: in sala le luci progettate da Buntu Tyali si abbassano lentamente, i danzatori prendono il loro posto, indossano le scarpe da punta e tolgono maglioni e felpe. L’attenzione viene catturata da una campanella che è l’unico elemento di rottura in mezzo alle note dolcissime di pianoforte e violoncello.

Durante la serata danza contemporanea, teatro fisico e arte performativa si intrecciano utilizzando il corpo come veicolo di narrazione e critica sociale. Il movimento è carico di simbolismo e forza espressiva, alternando momenti di tensione e liberazione, vulnerabilità e potenza. Nyamza sfida le aspettative imposte alle donne, esplorando i ruoli complessi di madre, artista e donna nera in una società patriarcale e spesso oppressiva. I danzatori si muovono in uno spazio scenico minimalista, ma evocativo, dove gli oggetti simbolici della savana africana (un cespuglio, un bufalo, un gallo, degli uccellini, un’automobile...) e l'uso sapiente della luce contribuiscono a creare un’atmosfera intensa e suggestiva.

Il tema della maternità è centrale: la coreografia racconta il peso delle aspettative e dei sacrifici richiesti alle madri, mostrando come l’atto stesso di generare la vita possa essere vissuto come una catena che limita l’identità femminile. Tuttavia, la performance celebra anche la forza delle donne, la resilienza e la capacità di trasformare il dolore in resistenza. Ogni gesto e movimento evocano una lotta interiore ed una rinascita spirituale.

L’ensemble di danzatori alterna momenti in cui la danza fonde i corpi facendoli muovere all’unisono e attimi di danza con frammenti individuali, riflettendo le molteplici identità e le contraddizioni che ogni donna porta con sé. La musica, a tratti assente e a tratti presente con ritmi incalzanti, gioca un ruolo fondamentale nel costruire l’energia della performance. Il silenzio è usato come elemento drammatico, accentuando il peso delle tematiche affrontate.

L’opera rompe con le convenzioni della danza contemporanea e africana, integrando movimenti spezzati e gesti ripetitivi portandoli all’eccesso e sfidando la bellezza tradizionale del corpo in movimento. Nyamza decostruisce l’estetica classica della danza per rivelare il disagio e il dolore dietro la grazia apparente. L’opera richiama simboli religiosi e riti tradizionali sudafricani per esplorare il conflitto tra modernità e cultura ancestrale. Questa tensione rappresenta la ricerca di un equilibrio tra radici culturali e necessità di rinnovamento. La performance si fa portavoce delle ingiustizie, utilizzando la danza e la fisicità per dare voce ai silenziati.

"Hatched Ensemble" è un’opera che scuote e commuove, una riflessione profonda su sacrificio, crescita personale e riconquista della propria voce. Mamela Nyamza conferma il suo ruolo di figura centrale nella scena artistica contemporanea sudafricana e internazionale, usando il proprio corpo e quelli degli interpreti come strumenti di denuncia sociale e trasformazione. La performance diventa un grido collettivo contro l’oppressione, un invito a riconoscere e celebrare la complessità dell’identità femminile.

Interessanti i costumi disegnati dalla stessa Mamela Nyamza in collaborazione con Bhungane Mehlomakulu. I tutù non sono di piume, ma delle comuni mollette in legno pinzate a del tulle che i ballerini fanno risuonare in maniera singolare quando si muovono col più classico dei passi del balletto ovvero il pas courus. Le medesime mollette vengono poi utilizzate come collari simili a quelli che indossano donne e uomini nelle tribù. Semplice, ma molto d’effetto il filo stendibiancheria sul quale vengono appesi prima gli impermeabili rossi e poi le scarpette da punta e i tutù bianchi alla fine.

Raffinato come nella più elegante body art anche il trucco: labbra bianche, zigomi rosso fuoco, palpebre scarlatte delimitate da una riga bianca si stagliano sulla pelle nera imperlata di sudore dei ballerini come un tableau vivants.

Numerose chiamate a proscenio e caldi applausi per tutti.

Sonia Baccinelli

Brescia, martedì 1 aprile 2025