Recensioni - Cultura e musica

I Due Foscari al Regio di Parma

Efficace lettura di un dramma di asciutta cupezza

Accusata dallo stesso Verdi di essere un’opera di “una tinta, un color troppo uniforme”, I Due Foscari andata in scena al Regio di Parma sembra invece aver convinto il numeroso pubblico presente in sala. La regia di Joseph Franconi Lee ha assecondato l’idea verdiana di un’opera raccolta e dal carattere intimo. Le connotazioni politiche, che nel libretto rimangono sullo sfondo della vicenda, sono state rese silenziose protagoniste da William Orlandi cha ha firmato le cupe e incombenti scene. Spesso - e volutamente – si è lasciata ai cantanti una ridotta possibilità di movimento a sottolineare come i ruoli pubblici e le ossessioni personali spesso finiscano per concedere poco spazio all’individualità e agli slanci emotivi.
La trama dell’opera, ispirata al dramma di Byron The two Foscaris, è concisa e di asciutta cupezza: Jacopo, figlio del Doge Francesco Foscari, è accusato di omicidio e viene condannato all’esilio a vita dal Consiglio dei Dieci. Jacopo è in realtà vittima di una macchinazione politica ordita da Loredano, nemico giurato della famiglia Foscari. La moglie di Jacopo, Lucrezia Contarini, chiede invano per il marito la grazia al Doge che, pur convinto dell’innocenza del figlio, si piega alla decisione del Consiglio. Durante una regata festosa, Jacopo viene condotto sulla galera che lo porterà in esilio. Il vero colpevole viene individuato troppo tardi, quando ormai Jacopo è morto per il dolore. Loredano, per evitare che vengano scoperte le sue trame, costringe il Doge a dimettersi. Nel finale, il suono delle campane che annunciano l’elezione di Malipiero al soglio dogale è fatale al vecchio Foscari.
Come notato dal critico Gabriele Baldini, tutta l’opera ruota intorno a “tre ritratti musicali: il baritono accorato, sdegnato, amaramente rassegnato; il soprano violento,intransigente, appassionato nella sua rivolta che non sente ragioni; il tenore perso nei suoi delirii, colto da morsi della sofferenza più atroce al di là d’ogni riparo”. Verdi curò molto i personaggi di quest’opera, sia accompagnando Francesco Maria Piave nella rilettura del dramma di Byron, sia nella scrittura musicale. Per la prima volta sperimentò la tecnica dei temi ricorrenti associati ai personaggi: un tema lamentoso in tonalità minore per Jacopo Foscari, un arpeggio di archi nei bassi per il Doge e un tema concitato e ribelle di terzine ascendenti per Lucrezia.
Gli interpreti hanno dato vita a una prova complessivamente convincente. Tatiana Serjan ha incarnato una Lucrezia Contarini grintosa e volitiva capace di regalare voce, tecnica e verità nella cabaletta “O patrizi tremate…” e di duettare ottimamente col Doge nel finale del primo atto. Convincente è risultata la prova di Claudio Sgura che ha dato vita a un Doge sofferente, fermamente fedele all’integrità morale richiesta dal proprio ruolo, ma intimamente sempre più incline agli accenti cupi della solitudine di uomo al tramonto. A metà del terzo atto il pubblico lo ha premiato con lunghi e meritati applausi per la sua toccante interpretazione dell’aria “Egli ora parte!...”. E’ stata meno efficace la prova di Roberto De Biasio nei panni di Jacopo Foscari: la buona tecnica e la bella voce gli hanno però permesso di compensare le difficoltà interpretative evidenziate in un ruolo comunque particolarmente complesso.
A fine spettacolo il pubblico ha tributato lunghi applausi agli interpreti principali; al basso Roberto Tagliavini, nel ruolo di Loredano; al maestro concertatore e direttore, Donato Renzetti; al Maestro del Coro, Martino Faggiani; all’Orchestra e al Coro del Teatro Regio di Parma.
Tommaso Lavegas (18/10/2009)