In questi ultimi anni di riscoperta del repertorio mozartiano, Idomeneo re di Creta sta, meritatamente, diventando un titolo semp...
In questi ultimi anni di riscoperta del repertorio mozartiano, Idomeneo re di Creta sta, meritatamente, diventando un titolo sempre più ricorrente in ambito operistico, al fianco dei capolavori indiscussi quali Don Giovanni o Zauberflöte. Infatti nonostante si tratti di una partitura scritta all'età di 24 anni, il giovane Mozart poteva già a quell'età vantare un'indiscussa conoscenza dell'opera seria, grazie alle precedenti esperienze di Mitridate re di Ponto e Lucio Silla che gli avevano permesso di forgiare una solida tecnica anche in questo genere di composizioni.
Pur essendo Idomeneo ancorato ad un impianto molto tradizionale e pur non includendo all'interno delle sue figure quegli straordinari ritratti psicologici che caratterizzeranno la collaborazione di Mozart con Lorenzo da Ponte, già da quest'opera le caratteristiche del genio iniziano a trasparire in maniera marcata. Molti infatti sono i momenti in cui la musica si stacca da un anonimo accademismo per dare spazio ad una vena compositiva matura e innovativa. Va pertanto accolta con plauso l’iniziativa del Settembre dell'Accademia che, nell'ambito del duecentocinquantenario mozartiano, ha pensato di proporne un'interessante edizione in forma semiscenica curata dall'orchestra Les Arts Florissants diretta da William Christie.
La partitura di Idomeneo ha subito parecchie revisioni da parte dell’autore negli anni successivi al suo debutto, pertanto in fase esecutiva le edizioni tra cui si può scegliere sono molteplici. Essendo Les Arts Florissants un ensemble dedito alle esecuzioni filologiche su strumenti d'epoca abbiamo potuto ascoltare la versione originale dell'opera, ovvero quella di monaco del 1781 in cui la parte di Idamante è scritta per mezzosoprano e non per tenore. Di quella versione Christie ha voluto mantenere l'aria "D'Oreste d'Aiace" ed il duetto "S'io non moro a questi accenti", mentre sono state eliminate, oltre al balletto finale, sia l'aria di Arbace "Se colà nei fati è scritto" sia l'aria finale di Idomeneo, oltre a qualche taglio praticato qua e là nei recitativi. Nel complesso quindi un'edizione che ha affrontato la partitura in modo più che esauriente evitando però di cadere nelle perniciose "edizioni integrali a tutti i costi".
Per quanto riguarda l'interpretazione Christie ha fatto intendere fin dal subito quale sarebbe stata la sua chiave di lettura, staccando un'ouverture guizzante, dal suono vivo, palpitante ed espressivo, che nulla aveva a che vedere con gli sterili ed asettici cerebralismi che spesso accompagnano le esecuzioni su strumenti d'epoca. L'orchestra ha saputo sottolineare in modo appropriato ed efficace l'evoluzione della vicenda sia in chiave narrativa che emotiva, potendo contare su un organico imponente e di straordinario valore tecnico. La grande ricchezza timbrica delle singole sezioni ha saputo descrivere attraverso la musica quanto non poteva essere realizzato sulla scena, trattandosi sostanzialmente di un'edizione in forma di concerto in cui l'azione, coordinata dalla regista Elsa Rooke, era limitata alle entrate e le uscite dei singoli interpreti ed a pochi essenziali movimenti. Un grande lavoro di concertazione quindi che ha saputo ovviare alla mancanza della componente teatrale in un'opera che ancora risente dell'influsso del teatro barocco, e che di conseguenza necessiterebbe di soluzioni di grande effetto visivo, dovendo affrontare passaggi quali tempeste e apparizioni di mostri marini.
Qualche riserva invece andrebbe espressa riguardo versante vocale: se infatti il coro si è prodigato in una prova di grande livello, nessuno tra i solisti si è distinto in modo particolare.
Le prove più convincenti si sono avute dalla Ilia di Claire Debono, che ha sfoggiato un bel timbro ricco di armonici, espressivo e con una buona dizione e dall'Idamante di Tuva Semmingsen intenso e partecipe. Paul Agnew è stato invece un Idomeneo corretto ma un po' monocorde, dalla voce opaca e limitata nel registro acuto, mentre Violet Noorduyn, seppure abbia esibito una buona linea di canto non è riuscita a delineare le molteplici sfaccettature della figura di Elettra. Efficaci le prove di Carlo Vincenzo Alemanno nel doppio ruolo di Arbace e del Gran sacerdote e del basso Simon Kirkbride.
Al termine meritati applausi per tutti in particolare per il direttore e l’orchestra.
Davide Cornacchione 13 settembre 2006