Recensioni - Cultura e musica

Il ballo in maschera trasformato in una cartolina folkloristica

Apache, gangster e cowboy accomunati nella danza schizofrenica di Nicola Berloffa

Il ballo in maschera di Giuseppe Verdi si potrebbe definire un’opera dalle caratteristiche camaleontiche sin dalla sua nascita; infatti, non potendo mettere in scena la trama originale che prevedeva l’omicidio di Re Gustavo III di Svezia, Verdi, senza perdersi d’animo, ha ricollocato immediatamente la vicenda trasformando il protagonista nel governatore di Boston.

La messa in scena del Ponchielli di Cremona viene collocata nell’Ottocento e di fatto l’attentato rappresentato è quello di Lincoln. L’inizio è stato decisamente violento ed il pubblico è rimasto perplesso udendo l’urlo della moglie del Presidente. Ma le trasformazioni ideate dal regista Nicola Berloffa riguardano evidentemente tutti i ruoli e quindi Ulrica diventa una nativa americana cieca a metà strada tra una sibilla e l’oracolo di Delfi, Renato è uno pseudo gangster sulla scia del Padrino, Samuel e Tom incarnano il ruolo dei cowboy, mentre Oscar una donnina leggera e civettuola che non sa bene come comportarsi.
Non a caso le brevi note di regia sul programma di sala recitano quanto segue: “il ballo è un insieme schizofrenico… con scene più leggere con un rimando all’operetta francese ottocentesca”. Lo spettatore resta perciò davvero spaesato e fatica a collocare le tessere di un puzzle per avere un’immagine congruente con quanto sta musicalmente ascoltando.
La direzione del Maestro Pietro Mianiti ha fortunatamente consentito di sollevare gli animi riuscendo a rendere vivaci le tinte verdiane. La sua coloritura personale ha permesso di evitare gli effetti bandistici corroborando i momenti corali ottimamente eseguiti.
Il protagonista, Sergio Escobar, tenore dalla voce calda e avvolgente, ha cantato decisamente sotto tono omettendo gravi ed acuti dando talvolta l’impressione di avere il fiato corto. Non del tutto convincente nemmeno come attore. Brava Daria Masiero nei panni di Amelia: la sua prova è stata semplice e pulita, dato che si è mantenuta al canto richiesto dal ruolo senza cercare di caratterizzare il personaggio con sfumature che non le si confanno. Angelo Veccia ha saputo gestire il suo ruolo in maniera garbata pur dovendo reggere la veste del “duro”.  Strepitosa infine Annamaria Chiuri nelle vesti di un’Ulrica a dir poco stralunata: il suo carisma ha stregato il pubblico che non ha perso una nota della sua splendida voce applaudendola più di una volta con grande affetto.
Divertenti e certamente apprezzati Samuel e Tom  interpretati da Mariano Buccino e Francesco Milanese.
Peccato poi per le scelte dei costumi di Valeria Donata Bettella: gli abiti maschili sono risultati un potpourri poco caratterizzato e poco in sintonia con gli abiti ottocenteschi femminili; bizzarri gli accostamenti amish e texo-californiano.
Poco significative le scenografie di Fabio Cherstich consistenti in due palchi teatrali corredati da qualche oggetto di scena.


Sonia Baccinelli  11 dicembre 2015