Recensioni - Cultura e musica

Il fattore Currentzis conquista Parma

Serata storica al Teatro Regio che ha visti protagonisti il direttore Teodor Currentzis e la violoncellista Miriam Prandi

Lo chiamano fattore Currentzis. Quel magnetismo oscuro, sciamanico, che le sue mani tentacolari, sovreccitate, sanno plasmare ad arte, disegnando dalla notte del suono sagome così addentrate nella carne viva della musica, là dove abitano i rovelli e gli enigmi, i misteri e le questioni senza scorciatoie, da turbare per giorni. Dal suo affacciarsi sulla scena concertistica, il suo nome si accompagna puntualmente alla scia di contrastanti reazioni che finiscono per spaccare il pubblico in due opposte, surriscaldate fazioni. La figura del direttore di origine greca, d’altronde, ben si presta, con il suo sguardo tenebroso, il capello lungo laccato, il look dark, a nutrire dettagli accessori al fatto musicale. Ma lui è ben altro, ben di più. Bastano pochi minuti di ascolto, e il suo dire straripante, algebrico e dionisiaco insieme, lascia un segno inciso con il bisturi che non lascia scampo.

Lo scorso sabato 12 ottobre, concerto di punta di Ramificazioni – rassegna che, nel cartellone del Festival Verdi di Parma, intende esplorare il verbo del Maestro di Busseto nell’eco delle sue risonanze più lontane - Currentzis è arrivato alla testa della sua MusicÆterna, formidabile squadra di fuoriclasse forgiata nella remota Siberia di Novosibirsk: spericolati spadaccini appesi ad ogni suo minimo anche impercettibile gesto, pronti a seguirlo ovunque, anche quando chiede loro di rischiare l’osso del collo. Merito di strumentalità sopraffine, di una duttilità (loro) capace di dare forma all’immateriale, ma soprattutto di un carisma (suo) che, sul podio come nella vita, fa la differenza. L’inaugurale omaggio verdiano, con la Sinfonia da La Forza del Destino non era solo l’alzarsi di sipario di una serata che rimarrà nella storia del Regio, ma più propriamente il perimetro emotivo di ciò che avremmo ascoltato: febbricitante, fatalistico, disperato. Un teatro al quadrato che non aveva bisogno di scene, né di voci, visitato, una ad una, dalle ombre di ogni personaggio, da apparizioni come spettri, plasmati attraverso un suono forgiato con cura maniacale, andato a pescare dalle zone remote stanze del silenzio e portato nella linfa delle singole sezioni, lì dove si fa frase che nasce e si sfarina, in un’incessante decomposizione e rigenerazione che è insieme morte e vita.

La sanguinante cattedrale della Quinta Sinfonia di Shostakovich, 50 minuti lunghi il tempo di un unico immenso respiro, si elevava a struggente, allucinato, canto di libertà, pensiero di irremovibile disobbedienza fiorito tra il cemento della censura e della sua morsa impressa dal regime di Stalin. Un mondo di maschere ridanciane e di marce trionfalistiche, di canti desolati, di accecante, sfacciata retorica dentro cui si annida una pietà infinita. Un inno alla gioia, a dispetto di tutto, che trovava il suo pirotecnico suggello in due pagine tratte da Romeo e Giulietta di Prokof’ev. E, incastonato nel cuore della serata, brillava per naturalezza d’eloquio ed autorevole smalto strumentale l’astro mantovano di Miriam Prandi, dal 2018 entrata nel campo magnetico di Currentzis ed oggi concertista dall’agenda internazionale. Sotto il gesto del direttore, ispirata dal suo implacabile cesello, in un’intesa che era gioco di sguardi e gioco di ruoli fatto di civettuola malizia nascosta sotto una garbata innocenza, la giovane violoncellista – vincitrice, nel 2014, del Rahn Musikpreis di Zurigo – percorreva con passo sicuro la leggiadra trina che Pëtr Il’ič Čajkovskij ricama nelle sue Variazioni op.33 su un tema rococò, esaltandone i riccioli di una grazia capricciosa, l’umorale, bizzosa poesia, e assecondando, di questa pagina celeberrima, più che gli spigoli di ardito virtuosismo, brillantemente domati, il sotteso camerismo annidato in mille pieghe, nel pizzicato degli archi, nell’eco lontano dei legni. Una pioggia di bis, ben tre, dal magmatico Sollima al pulviscolare Vasks, per chiudere con l’irrinunciabile Preludio dalla Prima Suite di Bach. Applausi generosissimi con lei che, riposto l’abito da solista, prendeva posto nella sua amata orchestra, pronta con gli altri a dare fiato e fuoco ad uno Shostakovich che non dimenticheremo.