Recensioni - Cultura e musica

Il malinconico decadentismo di Martucci al Sabbioneta Opera Festival

Magnifica esecuzione de "La canzone dei ricordi" che ha visto protagonisti Barbara Frittoli e Marcos Madrigal

L’unica nota “stravagante” - ma come rinunciarvi? - era la confessione di una straziata Santuzza, un bis intinto dal pennino verista con cui Mascagni tratteggia Cavalleria Rusticana. Incalzata dall’insinuante sinfonismo del pianoforte di Marcos Madrigal, qui Barbara Frittoli dava ulteriore, definitiva prova del suo sontuoso strumento vocale: una galleria dalle tinte brunite, corposissima nei gravi e ancora lampeggiante nello squarcio degli acuti, capace di esaltare, con quell’assoluta, nobile sobrietà che ne è sempre stata la cifra, anche le più riposte sfumature di frase.

Ad applaudire il soprano milanese, accompagnata con bella complicità dal pianista cubano nel recital di apertura del secondo dei tre week end del Sabbioneta Chamber Opera Festival, lo scorso sabato 28 settembre, era un pubblico visibilmente emozionato di fronte ad una così limpida prova di classe. “Il Teatro all’Antica ancora una volta si ritrova ad essere luogo di grande musica, al centro di un progetto che, del segno della bellezza e del binomio Palladio-Scamozzi, connette Vicenza a Sabbioneta in una rete di appuntamenti di risonanza internazionale”, ha detto il Sindaco della Città, Marco Pasquali, invitato da Andrea Castello ad un saluto nell’intervallo tra la prima e la seconda parte del concerto. “Un progetto”, ha proseguito lo stesso Direttore Artistico del Festival, “che si è posto, per gli anni a venire, obiettivi ambiziosi, mirando a coinvolgere un numero sempre maggiore di persone richiamate nella città ducale da un ventaglio di proposte di assoluto spessore”. Prima di riaffidare il palco agli interpreti, un invito: “Ognuno di voi si faccia carico di coinvolgere dieci suoi amici e li porti a scoprire la realtà di questo Festival in cui la musica da camera incontra quella sacra, dove l’opera in forma di concerto incontra uno spazio di master class aperto alle giovani voci. Un miracolo reso possibile anche grazie alla grande generosità di figure come Barbara Frittoli, che hanno di nuovo accettato l’invito non solo di esibirsi in questo gioiello di teatro ma anche di prendere per mano le giovani generazioni”. Suo, e dei ragazzi del corso, il suggello ideale, il prossimo 4 ottobre, a questa seconda edizione, la prima con il nome attuale, dopo l’anno zero de “Il suono degli Olimpici”.

Nel frattempo, in attesa della docente, era l’interprete a salire in cattedra, con una lezione di classe e di misura chiamata a declinare i sette bozzetti de “La canzone dei ricordi”, poemetto di Giuseppe Martucci su liriche di Pagliara. Un mondo minore, imbevuto nelle atmosfere decadenti di un sentire fin de siècle, in cui è il ricordo del tempo perduto, degli istanti fuggiti, nel loro sussultante, irregolare sismografo emotivo, a tracciare la linea di un racconto intimo e toccante appeso ad una memoria che avanza incerta attraverso un cangiante tappeto di armonie turbate, trascolorazioni sognanti, accessi di puro dramma subito ricomposti in pacato, pudico narrare. Fino all’ultimo quadro, quando, con le stesse parole, tutto torna daccapo, come se il filo si riavvolgesse e il tempo vivesse solo nel ripercorrere le pagine della nostalgia. Sul fondo, nelle note gravi del pianoforte, il pulsare sordo, lontano, di un cuore stanco, sfinito.

In apertura, prima di approdare, con Martucci, alla voce dell’Italia postunitaria, era il suggestivo sipario disegnato da Madrigal sul filo del canto. Un canto sublimato, interiore, trasposto, percorso a labbra chiuse. L’introversa bellezza del Minuetto in sol minore di Händel trascritto da Kempff e la cartolina di una Venezia lontana, piovosa, sfuggente, di una Sicilienne di Vivaldi passata di mano in mano attraverso i secoli, da Bach a Tharaud. E il quadrifoglio schumanniano pescato da quel vivaio di irraggiungibile bellezza che è il corpus dei cicli liederistici, fino allo struggente Vocalise e all’incantato Widmung, prestiti anch’essi, da Siloti e da Schubert, questa volta affidati alla grondante intensità di Rachmaninov.