
Nikita Boriso Glebsky e Georgy Tchaidze in 19 miniature tra romanicismo e '900
Se è vero che a decretare il viaggio, il suo senso profondo, più dell’itinerario scelto o capitato, è lo sguardo del viaggiatore che si posa sulle cose che incontra, la sua capacità di intercettare l’incanto nella semplicità diurna dei dettagli e l’eterno nell’istante dei singoli frammenti, allora il viaggio proposto in questo Carnet de Voyages da Nikita Boriso Glebsky e da Georgy Tchaidze è, a buon titolo, qualcosa che assomiglia all’album che custodisce il distillato di una vita intera.
Cartoline spedite da latitudini e stagioni lontane, istantanee rubate allo scorrere delle ore e qui condensate nel piano sequenza di un racconto che è insieme confessione, visione, sublimazione. Il violino erratico, straordinariamente narrativo, di Boriso Glebsky è magnifico affabulatore di piccole storie, assaggi fatti non per esaurire la vicenda né esaudire la curiosità dell’ascoltatore ma, al contrario, per risvegliarne l’appetito della scoperta o, se si preferisce, il desiderio del viaggio. Un viaggio che i due interpreti disegnano congiungendo con strabiliante naturalezza i punti di un planisfero che respira e pulsa a passo di danza, a comporre un’ideale rosa di encores, di ascolti fuori programma a concerto ormai concluso. Con violinista nato a Volgodonsk, il pianoforte micidiale di Tchaidze, perfetto a controbilanciare con un senso ritmico inesorabile, incalzante, incessantemente proteso in avanti, la seduttività morbida, da scuola d’antan, del violino. Un camerismo d’alta quota, torrenziale nell’unisono del suo respiro, articolato in ogni minimo segno. È con Stravinsky e la sua rutilante Danse Russe, tratta da Petrushka, che il duo alza l’àncora per lambire, in un periplo fatto più per smarrirsi che per ritrovare la via di casa, una costellazione di terre, di paesaggi e, con essi, di voci da catturare prontamente, con vitalità corsara: Antonio Bazzini con l’indiavolata frenesia de La ronde des Lutin, lo squisito cameo di Frank Bridge e di due terse Danze, l’immancabile Liebsleid di Fritz Kreisler – per una volta asciugata da trasudanti vapori iperromantici e restituita alla sua ritrosa, irriducibile, nostalgia -, l’aspra, fiera malinconia della Dumka di Dvorák.
Diciannove tracce folgoranti servite in punta di fioretto, con quel gusto miniaturistico che regala al frammento la nobiltà della gemma. A ciascuno un profilo, un colore. A svettare, l’eleganza inquieta di Rachmaninov con uno dei due Morceaux de salon, l’introverso soliloquio debussiano de Il pleure dans mon coeur, la vellutata poesia di un Lied ohne Worte di Mendelssohn. e ancora Brahms, Beethoven, Sibelius, de Falla, con il suo monito alla brevità della vita, e alla necessità di goderne ogni sorso, fino alla conclusione: quell’abbraccio irresistibile, sincero e ruffiano al tempo stesso, stregante, di Estrelita di Manuel Ponce, vetta di pura malia; un incantesimo che lo scanzonato, trascinante suggello di Brazileira di Darius Milhaud non basta a rompere. Sta nel palmo di una mano, questa rosa di pagine, ma contiene un mondo. Un mondo che parla a noi, che parla di noi.
Autori vari
Carnet de voyage
Nikita Boriso Glebsky e Georgy Tchaidze
Aparté