Recensioni - Cultura e musica

In Disco: I fantasmi di Amleto

Roberta Mameli interpreta arie dal repertorio barocco

È fiamma, pietra inondata di luce, quintessenza di purissimo teatro, la voce di Roberta Mameli. L’avevamo applaudita, due edizioni fa, sensualissima Poppea al Ponchielli di Cremona, in una memorabile edizione del Festival dedicato al compositore di casa. Oggi, il soprano barocco più autorevole della giovane generazione si cimenta con i frammenti di una partitura mancata, tessere mjultiformi di un mosaico posticcio e magnifico in cui, a torreggiare, al centro, è la figura di Ambleto, la stessa che – oltre un secolo prima, più a nord – il genio shakespeariano scolpirà con scalpello finissimo nell’omonimo corrispettivo, nel suo rovello intimo e serrato, visionario apripista di ogni introspezione psicologica. Ma nell’Italia di primo Settecento, nulla o quasi si sa di quei drammi nati oltremanica.

E quell’Ambleto è frutto della ricerca di librettisti a caccia di vicende storiche da riscoprire e mettere in musica, come quella dipanata da Saxo Grammaticus ,nelle sue Gesta Danorum. La stessa dell’Amleto del Bardo, ma snudata di quelle raffinatezze, implicazioni, ambiguità delle quali il principe danese è oggi considerato cantore impietoso e paradigmatico. Mameli, con l’autorità di un temperamento statuario, si muove attraverso il tessuto connettivo generato dal libretto di Apostolo Zeno.

Sul tracciato delle sue parole irte di furore e di dolore, di anelito e di sconforto, incontra i frammenti di drammi scomparsi, calchi densi di meraviglia di cui è sopravvissuto qualche lacerto, ma soprattutto presta la sua vocalità smagliante alle differenti voci che proprio alla tragedia danese attingono: a quella dell’apripista Francesco Gasparini (Venezia, 1705), la cui versione sarà in seguito adattata in un pasticcio (Londra, 1712) con arie di diversi compositori, tra cui Händel. E a quelle di Domenico Scarlatti (Roma, 1715) e Giuseppe Carcani (Venezia, 1743), che il certosino lavoro di ricerca e di scandaglio di Vittorio Montanari ha rinvenuto e portato alla luce, dopo secoli di oblio. Ne esce un mosaico grondante di pathos e di bellezza, un’opera al quadrato in cui Mameli è una nessuna e centomila: ora Amleto, ora l’audace Veremonda (che Shakespeare trasformerà nella più arrendevole Ofelia), fino alla tormentata Gerilda, ben più salda della Gertrude shakespeariana. Un affresco che, per l’interprete, affiancata dal Concert de l'Hostel Dieu diretto da Franck-Emmanuel Comte, è il banco di prova di una maturità ormai giunta alla piena fioritura.

Autori vari
The ghosts of Hamlet

RobertaMameli
Arcana