Giacomo Copiello reinterpreta su chitarra alcuni lieder e romanze dei due grandi compositori
Il canto della cordiera. È un’operazione affascinante quanto riuscita, quella che Giacomo Copiello, non senza un invidiabile coraggio, offre nel recente lavoro discografico edito da Stradivarius: traslare lo strumento antropomorfo per eccellenza, la voce, sull’anima della chitarra, non per mero esercizio di stile quanto, come l’ascolto suggerisce, pagina dopo pagina, in maniera sempre più perentoria, per ripercorrerne le inflessioni emotive, le segrete risonanze, indagandone l’avvicendarsi e intrecciarsi da una prospettiva differente, una sorta di grandangolo capace di dare, all’esperienza di fruizione, ulteriori approdi. L’orizzonte è quello duplice di Franz Schubert e di Felix Mendelssohn, principi assoluti di un dire che nella miniatura del Lied e della Romanza senza parole (dove, in realtà, è il pianoforte a rubare il canto e a farne una tela opalescente) trovano la misura perfetta per inanellare schegge di verità senza tempo, lampi del cuore, scorci di vita vissuta e sognata. Pagine cruciali, soprattutto quelle attinte dalla torrenziale produzione schubertiana, la cui enigmatica innocenza, già così pericolosa nella veste originaria, è mercurio che sfugge, si inabissa, riappare sotto altre spoglie, tradendo occhio e orecchio con la sua eterna ambiguità. Qui, a fornire all’interprete le chiavi d’accesso ad un mondo di ombre, è la Brahms Guitar, gioiello di introversa trasparenza uscito dalla bottega di David Rubio, che Copiello abbandona quando si tratta di affrontare i terreni scoscesi della scrittura mendelssohniana. A questo punto del viaggio, a raggiungerlo è la seconda cordiera di Michele Tedesco, magnifico complice di un racconto tutto miniature e squisitezze a cui l’Andante con moto tratto dal quartetto “Der Tod und das Mἅdchen” fa da suggello e da suprema sintesi poetica.
Schubert - Mendelssohn
Lieder
Giacomo Copiello
Stradivarius